Xylella Man II

Un racconto intenzionalmente iper-complottista.

Per chiarezza: Qualunque riferimento a persone o fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale.

II. La rigogliosa e multiforme pianta del complotto.

Inverno 2015

Una sala gremita. Odore di massimalismo. Sentore di posizioni nette.

Giustezza. Carattere. Forza di determinazione. Forma della determinazione stessa. Certezza di essere dalla parte giusta.

Un singolo uomo può fare la differenza, ma può deficere in termini di forze. Ciò che non può il singolo però, forse lo può fare una rete di uomini, uniti dagli stessi fulgidi ideali. Uniti dal desiderio di rivalsa, non proni rispetto alle decisioni cadute dall’alto.

L’incontro verteva sulla strana malattia che negli ultimi cinque anni aveva devastato gli oliveti del Salento Occidentale. La cosiddetta “West Coast”, la riviera romagnola gallipolina. Una epidemia che aveva ucciso svariate decine di migliaia di alberi di ulivo, portandoli rapidamente verso il disseccamento. A tale patologia era stato dato l’acronimo di Codiro (Complesso del disseccamento rapido dell’olivo). Inizialmente la sua eziologia era stata addebitata in massima parte a larve di falena leopardo e varie specie di funghi amanti del legno. Nell’Ottobre del 2013 era però stato isolato un batterio esotico particolarmente aggressivo, tale Xylella fastidiosa. Un batterio che nel continente americano aveva prodotto enormi danni alle coltivazioni di vite ed agrumi soprattutto.

Il povero tecnico provinciale, dopo aver terminato di commentare le varie diapositive del “Power Point regionale ufficiale” che aveva compito di presentare, aveva colto astio negli sguardi dei presenti. Già tremava. Sapeva di dover tirare fuori un sacco di spiegazioni, per ognuna delle quali erano pronte ulteriori domande, volte a disinnescare ogni tentativo di tranquillizzare quella platea. Un incalzare che avrebbe prodotto da ogni sua affermazione differenti trame e divagazioni, fino a produrre, se rappresentato graficamente, una forma ironicamente arborescente. La versione ufficiale era intesa come uno specchietto per le allodole. Una rancida esca a cui solo i pesci maggiormente babbioni avrebbero potuto abboccare.

-Bene… ecco, possiamo… possiamo cominciare con le domande.

Con orgoglio, posa e aspetto d’un cavaliere d’altri tempi si avvicinava al microfono un bel giovanotto. Nei suoi occhi era ben impressa una ampissima consapevolezza, rispetto a quello che era il mondo. Non aveva bisogno di prove. Era perfettamente in grado di produrre i giusti collegamenti tra cronaca giudiziaria, malaffare e la “presunta epidemia”. Le prove al massimo sarebbero stato affare di competenza della magistratura.

-Salve. Vorrei dire alcune parole. Abbiamo ascoltato tutti questa bella presentazione su… questa epidemia. Ma davvero di epidemia si tratta? Davvero ci troviamo di fronte ad una epidemia? Questa è la mia domanda. Siamo seriamente convinti che si tratti realmente di questo disastro, di questa catastrofe naturale? Ci stiamo davvero calando le braghe di fronte ad un batterio e ad una piccola cicalina, che, come i contadini sanno, è sempre stata presente sul nostro territorio?

I suoi occhi spiritati brillavano. La platea leggeva in essi la necessità di rivalsa di una terra sconquassata dalla modernizzazione. Una deriva turistica che aveva profondamente alterato il territorio. Reazionario a modo suo, tradizionalista, ma non nella accezione comune. Quasi un neo-primitivista, per il suo infinito amore per l’ambiente e le varie forme di vita che lo popolavano.

-Possiamo davvero credere che i nostri patriarchi millenari possano venire minacciati da questa strana coppia? Un batterio ed una insignificante cicalina?

La platea sorrise, rincuorata da queste parole così accoglienti, in grado di fugare la paura.

-Alcuni di quegli ulivi sono stato piantati dai nostri avi più antichi. Messapi prima e poi coloni greci, quanti avevano creato la Magna Grecia, il sogno di una Grecia lontana dalla Grecia. Colonie che superarono in splendore e sapere la stessa Grecia di cui portavano avanti la cultura. Quelle piante, quegli alberi, così forti e splendidi, hanno dato nutrimento a tutti i nostri antenati per una coltre di tempo e per un numero di generazioni anche solo difficili da immaginare. Hanno resistito a gelate, condizioni climatiche avverse. Conflitti bellici, combattuti prima con spade e fiamme, e poi con bombe e proiettili. Hanno visto nascere vite e versare sangue. Hanno visto nascere amori e fondare famiglie sulla ricchezza di quell’olio. Ci hanno sempre accompagnato e protetto, hanno salvato il Salento dal deserto. Ci hanno riparato dall’erosione. Ne hanno conosciuti di batteri! Oh, se ne hanno conosciuti. E anche funghi, e insetti xylofagi, cioè mangiatori di legno. Eppure sono ancora qui, modellati nella forma dalla mano degli uomini che hanno nutrito, in un rapporto di vicendevole e mutua assistenza. Tronchi svuotati dal legno marcio dalle mani amorevoli di contadini che hanno sempre amato quegli alberi, modellandoli in forme umane. Mani di contadini che con la vecchiaia diventavano legnose come gli stessi alberi da loro amati. Schiene che si inarcuavano come quei tronchi. Gli olivi sono amore, sono padri, sono protettori, sono lo specchio in cui ci riflettiamo. È un nostro dovere salvarli. Salvarli non da una nebulosa malattia, ma da una vera e propria, truffa, che celandosi dietro l’ombra di una emergenza vuole trasformare gli oliveti in resort, campi da tennis, campi da golf. L’infingarda macchina del cemento, un serpente antropomorfo, vuole cambiare completamente il volto del nostro paesaggio. La domanda che noi ci dobbiamo fare oggi è: che tipo di Salento vogliamo? Siamo pronti a vendere per un piatto di lenticchia la nostra primogenitura?

Come tagliola che intrappola la volpe per riflesso meccanico di molle, nella stessa misura si innescò subitaneamente uno scroscio di applausi. Gli occhi della platea erano lucidi come quelli del giovane che stava parlando. Il tecnico provinciale stava già immaginando se stesso nel triage del pronto soccorso più vicino a raffreddare i suoi zigomi tumefatti con una borsa di ghiaccio.

-La domande che noi oggi le facciamo sono numerose, caro signor tecnico. Tanto per cominciare, quali sono le prove scientifiche che davvero questa “epidemia” sia causata da Xylella? Perché non ci spiegate come mai su ventimila alberi analizzati solo duecento sono risultati positivi alla presenza del batterio? Se la situazione è così grave, perché non vi siete mossi prima?

Come inchiodato al muro da una sparachiodi il povero tecnico fece il possibile.

-Nel continente americano Xylella è stata protagonista durante tutto il secolo scorso di grandi danni economici… la questione delle basse positività dipende dal campionamento. Non tutti gli alberi campionati erano malati. Era un sistema per cercare di capire quanto fosse estesa l’epidemia, per poi prendere gli opportuni procedimenti per limitarla.

Si levarono voci di protesta:

-Limitarla uccidendo i nostri patriarchi?

-Siamo sicuri che non ci siano altre situazioni?

-È pieno di sputacchine perché sono sparite le formiche con la testa rossa. Prima era pieno! Ora non ne trovi una manco a pagare! È chiaro che poi succedono queste cose.

-Ma quali formiche, il problema è che i cacciatori hanno sparato fino all’ultimo uccello?

-E allora la magistratura su chi sta indagando, eh?

Ad onor del vero era partita un’indagine rispetto alla diffusione dolosa del batterio.

-Ma questi campionamenti si può sapere come li fate sì o no? Solo quattrocento su ventimila! Non so se mi spiego. Vi rendete conto? Facile tagliare un albero, più difficile curarlo!

-Mentre qua c’è gente che lavora e che paga le tasse in Provincia ed in Regione che fate? I tornei di solitario?

-Vorrei fare notare una cosa. Ancora non è arrivato nessuno a proporci la soluzione delle soluzioni. Tenetevi forte: Gli olivi OGM!

-Se le tenessero quelle merde!

-La speculazione è ovunque! Ci sono camioncini che passano offrendo “potature gratuite”! Io li chiamerei serial killer degli olivi. Voi dove state quando succedono queste cose?

-Vogliamo parlare di come mai degli ulivi curati con metodi tradizionali stiano guarendo da questa famigerata inguaribile Xylella?

-Per potatura fatta bene che cosa si intende? La capitozzatura è una potatura fatta bene?

-Scusi eh, ma quanto roundap va usato per diserbare?

Una serie di occhiatacce fulminarono, giustamente, il contadino che aveva fatto una domanda a riguardo del diserbo chimico.

-Secondo me nel Gallipolino la distesa di ulivi morti è stata creata ad arte, artefatta, proprio usando dei diserbanti chimici. Proprio per creare un clima emergenziale!

-Si parla di una soluzione omeopatica, proveniente da Foggia. Praticamente si prendono le foglie degli ulivi morti, sui 100 grammi, e le si lascia a macerare in una piscina semi-olimpionica, o anche olimpionica, per avere la massima efficacia. Poi si prende quell’acqua “informata”, e diluendola in un rapporto uno a cento la si usa come concime foliare. Il risultato è garantito!

-Un mio zio ha detto che anche lo zolfo di grotta è ottimo per far riprendere gli alberi.

-La nostra associazione ha già preso contatti con alcuni rom del basso Lazio, per avere una fornitura super-massiccia di rame, da utilizzare come fungicida. Certo, opportunamente trattato.

Una giovane molto magra chiese: -Scusi, ma è vero che l’argento colloidale ha dato grandi risultati nella zona di Leuca?

Il tecnico disse di non sapere cosa fossero l’argento colloidale e l’acqua informata. Si dimostrò solo lievemente possibilità a proposito di zolfo e rame. Aveva esitato troppo. Una pioggia di schiamazzi fu per lui il segnale che era giunto il momento di squagliarsela. L’incontro con il tecnico provinciale evolse nell’arco di pochi minuti in una assemblea popolare autoproclamata.

Il giovane che prima aveva arringato riprese a parlare:

-Qui non c’è proprio nessuna epidemia. Non ci dobbiamo fare fregare. Non dobbiamo piegarci a questa folle dittatura biocida. Questa “Xylella” è un modo come un altro per disintegrare un intero ecosistema. Non esiste nessuna prova che Xylella sia patogena per l’ulivo.

Il ragazzo, dal cuore purissimo, non conosceva mezze misure. Ignorava la storia di un certo professore israeliano venuto appositamente da lontano, in accordo coi loro avidi vicini, per diffondere la soluzione finale alla minaccia della produzione olearia salentina. Non mancava però chi tra il pubblico aveva una visione d’insieme più corretta.

-Scusami Aristide, io sono d’accordo con quasi tutto quello che hai detto. Sono d’accordo sul ruolo che hanno avuto nella nostra storia gli ulivi e tutto il resto, ma personalmente, credo che stiano davvero seccando, e se si tratta di Xylella, potrebbe essere un vero e proprio atto di bioterrorismo.

La discussione si infiammò. Era chiaro a tutti che c’era un qualche complotto, una presa per culo dai piani alti, ma in quel marasma di informazioni incomplete, di picchi di narcisismo, di ego ingombranti e di mancanza di metodologie, una indagine del genere non poteva che finire con il seguire troppe piste, risultando in una dispersione di energie in grado di danneggiare la riuscita di tutti quegli sforzi.

-Sanno tutti che i nostri principali rivali, i Toscani, si stanno fregando le mani da quando si è sparsa la voce della peste degli ulivi.

-Certo, certo. I toscani, maddai. E i calabresi? Gira voce che stiano comprando ettari ed ettari a prezzi stracciati nel Gallipolino!

-No, vi sbagliate. Vi sbagliate tutti. Il mercato dell’olio è gestito dagli spagnoli. Olearhia è una multinazionale spagnola. I grandi marchi toscani, di fatto sono spagnoli. Solo noi olivicoltori salentini siamo rimasti indipendenti, è per questo che ci vogliono distruggere.

-Io non so se sia un complotto o no, ma potrebbe tutto dipendere dal diserbo chimico. Hanno avvelenato tutto. In anni e anni di diserbo anche gli alberi più forti ne stanno pagando le conseguenze.

-E se si trattasse solamente di funghi? I funghi si possono curare, a differenza della Xylella. Basta un poco di rame, o altri prodotti. Non siamo condannati fino a quanto non mettiamo la testa sul ceppo del boia!

-A Bari hanno il dente avvelenato. Un mio amico di Bari mi ha detto che i frantoiani si preoccupano non poco del crescente volume di extravergine che stiamo producendo. Hanno detto che noi trimon-terroni ci dobbiamo togliere di mezzo, e pensare magari al rilancio delle lampade ad olio, in chiave folkloristica. Hanno detto proprio così!

-Le elezioni sono vicine. E se si trattasse di un sistema per disgregare il voto?

-Tanto noi non votiamo proprio nessuno!

-E se gli olivi non c’entrassero proprio niente? Se fosse tutto un diversivo per far diventare proprio la Calabria la nuova vera protagonista del turismo estivo nel meridione?

L’unico punto di convergenza di questo variegato movimento era la contrarietà agli abbattimenti e al massiccio uso di insetticidi, previsto dal piano Regionale.

Riprese la parola Aristide:

-Io credo che ciascuno di noi abbia il diritto di dire la propria. La nostra forza è proprio nel nostro pluralismo. Io sono decisamente convinto che la mia visione della cosa sia la più completa, dato che ci sono troppe cose che non tornano, ma penso che l’opinione di ciascuno di voi sia un tassello di fondamentale importanza, per ricostruire questo torbido mosaico!

-Bravo Aristide!

Ulteriori applausi.

-Quello su cui però davvero possiamo e dobbiamo essere uniti, è l’assoluta contrarietà agli abbattimenti. Da quello che ci è dato sapere non sarebbe esclusivamente l’olivo la pianta in grado di ospitare questa famigerata Xylella, ma anche più di centottanta piante spontanee facenti parte della nostra natura, della nostra cultura e della nostra storia. Le vogliamo davvero sradicare tutte? A quel punto sapete cosa ci rimarrebbe da fare? Ve lo dico io: l’allevamento di cammelli e dromerari. Quindi se anche le cose stessero come dicono “loro” gli abbattimenti degli olivi sarebbero inutili. Sì, insomma, a meno che non cominciassero a praticarli sganciando del napalm da dei Canadair.

Piombò il silenzio in sale.

Aristide preciso: -Era una battuta. Tranquilli.

Gli umori combattuti, le opinioni non perfettamente combacianti. Malgrado ciò, però, il movimento era unito sull’obiettivo di salvare gli ulivi dagli abbattimenti. Si contestava l’assoluta mancanza di autorevolezza del personale scientifico chiamato a gestire la cosa. Si contestava il dolo del potere politico che, anziché risolvere la situazione con una cura, preferiva la strada facile e cruenta dell’amputazione. Di amputazione si trattava, poiché quel popolo era così fortemente legato a quelle piante secolari o millenarie, da vivere la loro eradicazione come l’amputazione di una parte di loro stessi. La perdita di un arto, la perdita di un familiare. Una separazione da uno dei molti cuori che essi custodivano nella loro gabbia toracica. Un affronto imperdonabile, un crimine contro un popolo intero. Una castrazione, la perdita di un simbolo, di una identità, la disintegrazione di un paesaggio. La morte di una consistente fetta di un’economia. L’ultimo sasso tirato all’agricoltura salentina, dopo la perdita della coltura del tabacco, le cui quote di coltivazione erano state svendute per poche lire.

-Noi- disse Aristide- Saremo un baluardo di resistenza. Non indietreggeremo di un solo centimetro. Combatteremo per difendere questa terra, e per difendere quelle che, in fin dei conti sono nostre membra lignee, nostre e dei nostri antenati, seppelliti sotto questa terra, e quindi anch’essi parte di questi ulivi. Non manderemo i nostri patriarchi in qualche caminetto o in qualche centrale a biomassa. Li difenderemo a costo di perdere denti ed unghie! Ora e sempre: Resistenza!

Numerose iniziative di sensibilizzazione seguirono. Coinvolgimento di personaggi mediaticamente noti. Attori, cantanti, politici che amavano surfare sulle calamità in periodo pre-elettorale. Campagne dal basso, aiuti dal lato e dall’alto. Un discreto livello di informazione, di controinformazione, e di contro-controinformazione dall’altro lato.

Maggio 2015

Josaphat nel frattempo era sdraiato al sole del Mar Morto, a contare i soldi e a godersi la sua ingentissima quanto poco consolatoria pensione. Sua moglie era accanto a lui, resa ancora più brutta e buia dalla vecchiaia. Era servito a niente il suo impegno per una ingiusta causa? Aveva tutto ciò in qualche modo risollevato la sua vita? Portato sollievo a quel dolore inconsolabile?

Niente di tutto ciò.

Ma neppure riusciva a trovare posto nel suo cuore alcun rimorso, poiché tutto lo spazio in esso disponibile, era occupato da quel grosso, enorme, rimpianto, dell’amore così miserabilmente perduto.

Giugno 2015

Arrivò il mese di Giugno e con esso finalmente il caldo, che riuscì in qualche modo a spazzare via il ricordo di uno dei più rigidi inverni che quel lembo di terra avesse vissuto negli ultimi quindici anni.

Tramontane, questa volta calde, rendevano il cielo propizio a produrre il suo massimo irraggiamento. Il sole scaldava gli alberi, e gli alberi scaldati innescavano i processi metabolici dei batteri volti a esprimere la loro massima virulenza. Quella che negli anni passati era stata un’epidemia che aveva colpito quasi esclusivamente la costa occidentale, oramai interessava tutta la penisola Salentina, e guardando a Nord insidiava le altre province limitrofe.

Anche chi aveva sempre creduto che si trattasse di una speculazione cominciava a fare i conti con la realtà, perlomeno rispetto al fatto che si trattasse davvero di una vera, reale, tangibile epidemia.

La provincia di Lecce diventò una sorta di laboratorio a cielo aperto, dove vari tipi di sperimentazione coesistevano, e si giocava a dimostrare di essere più abili degli americani, che alla Xylella si erano arresi. Certo, non era solo una questione di mezzi e abilità, ma anche di maggiore dinamismo degli Statiunitensi rispetto ad una riconversione agraria istantanea. Le piante degli Americani, le colture colpite sul loro territorio da Xylella, non avevano la storia millenaria di quegli ulivi. Nelle parole di Aristide v’era una grande verità. Non si trattava solo di milioni di litri d’olio. Era una questione identitaria e storica. Non ci si poteva arrendere all’eradicazione di massa, e neppure all’uso imponente di insetticidi.

Si doveva provare un’altra via.

Alcuni mucolitici ad uso umano, consigliati da una ricercatrice brasiliana, si dimostrarono in grado di migliorare le condizioni degli alberi, seppur non fossero una vera e propria cura. Si trovarono delle varietà d’ulivo maggiormente resistenti, tra cui spiccava il Leccino, benché non si trattasse di resistenza assoluta, ma solo di maggiore tolleranza al patogeno. Altre sperimentazioni accanto, alcune più audaci, altre più pragmatiche. Nella zona a Nord dell’epidemia tuttavia si ricorse ad eradicazioni più o meno importanti, non senza incontrare la resistenza dei locali. La Xylella appariva per quello che era, una bestia immortale ed invincibile, ma che in qualche modo poteva essere rallentata, fino a quasi l’immobilità. Nessuna possibilità di eradicazione del batterio, ma la possibilità di condurre l’epidemia in una dimensione temporale in qualche modo isolata.

Un intero popolo aveva ripreso contatto con quello che era il proprio passato, ed era tornato ad amare gli alberi e la terra.

D’altro canto l’amore per qualcosa diventa più luminoso nel momento in cui quella cosa viene perduta, o si è ad un passo dal perderla.