Xylella Man I

Un racconto volutamente iper-complottista.

Per chiarezza: Qualunque riferimento a persone o fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale.

I. Il seme

Giugno 2008

Il dottor Josaphat era seduto sul proprio sedile, in classe turistica, su un volo Tel Aviv-Brindisi. Un completo grigio scuro. Probabilmente, un certo tipo di pubblico, da qualcuno della sua etnia, si sarebbe aspettato un lungo naso adunco, ma, deludentemente aveva un naso piccolo e schiacciato, sormontato da due occhietti, piccoli anch’essi, accompagnati da una bocca con le labbra sottilissime. I giusti tratti somatici per passare inosservato. Un fantasmino di carta, facilmente mimetizzabile su ogni carta da parati chiara.

Tirò fuori una bottiglietta di olio extravergine Israeliano e ne bevette un paio di cicchetti.

Il suo vicino di posto, piuttosto polemico gli fece presente: -Scusi, ma come è possibile che abbia portato una bottiglia a bordo? Non lo sa che non è possibile portare liquidi a bordo?

Josaphat gli allungò una banconota da 100 euro e gli fece il gesto del silenzio.

Il vicino accettò il denaro, mettendo a tacere la propria coscienza civica. Val bene cento euro il rischio di un attentato a bordo di un aereo?

-Vede, ciascuno di noi deve limitarsi al proprio ruolo ed al proprio compito. Io capisco che anche i poveracci abbiano delle aspirazioni, ma se qualcuno li asseconda, e non li si ferma in tempo, come dire… il mondo finisce sottosopra, mi segue? Le cose non accadono per caso. Specie in ambiti tipo l’economia e la geopolitica. Non si tratta di complotti, come molti cretini sostengono ma… come dire: come fa a coordinarsi un’orchestra senza direttore d’orchestra, eh? Mi Segue?

-No, non la seguo.

-Allora mettiamola così. C’è una terra brulla e arida, non nei pressi della casa di Cristo da dove vengo io, ma proprio dove stiamo andando noi con questo aereo. Una terra adatta a poche coltivazioni, ma che può andare bene per l’olivo.

-E quindi?

-E quindi niente, gli abitanti di quella terra, questi bifolchi, si sono sempre limitati a produrre olio lampante, olio per lampade diciamo. Così pungente da far bestemmiare all’assaggio, da far contorcere il viso in una smorfia di acritudine. Un olio però tutto sommato passabile per le fritture, o per le lampade appunto. Ad un certo punto però costoro, spinti dalla loro arroganza e da un certo orgoglio costruito a tavolino attraverso mirate campagne di marketing, hanno deciso di ammodernarsi, di fare un grande balzo in avanti, di essere competitivi, di essere al livello di chi questo mondo l’ha inventato. Il mondo dell’olivicoltura moderna. Pensi che per anni hanno raccolto le olive da terra, ed ancora lo fanno! Pur di rendere la raccolta da terra più veloce, hanno addirittura avuto il coraggio di avvelenare i lombrichi che smuovevano il terreno, utilizzando contro di loro dei farmaci contro i funghi, che nel corpo di un animale diventano veri e propri veleni. Tenga presente che anche noi siamo animali.

-In che modo si sono ammodernati?

-Ma questo le sembra davvero ammodernamento? Ad ogni modo, hanno cominciato a fare la raccolta dall’albero ad esempio, e hanno abbracciato vari altri tipi di meccanizzazione agricola. Si sono svegliati insomma. Sono entrati nel millennio in cui siamo, si sono cambiati le camice sporche di terra, si sono tagliati la barba prima e poi se la sono ricresciuta al momento giusto, hanno puntato ad un certo tipo di etichetta. Valorizzazione del territorio, dicono. Però non è che le cose stiano davvero proprio così.

-Vabbè, ma il problema per lei quale sarebbe?

-Si stanno allargando.

-In che senso?

-Stanno pestando i piedi ad altri.

-Ma in fin dei conti non sono troppo piccoli come produttori oleari?

-Sì, ma non c’entra. Hanno nove milioni di alberi, se puntano su una produzione d’alta qualità possono comunque turbare il mercato. Sono potenzialmente pericolosi.

-E per chi sarebbero pericolosi?

-Per il neo-costituito CODIRO.

-Che cosa sarebbe?

-Consorzio di rovina della Terra d’Otranto. Un consorzio di olivicoltori Baresi, Calabresi, Toscani ed Israeliani. Coordinato da una certa multinazionale, che per ovvie ragioni non posso citare.

-Vabbè, io sono di Bari. Chi se ne frega del Salento! Buon lavoro!

-Una saggia presa di posizione. Chi sa rimanere al proprio posto vive per sempre, o almeno, non muore prima del tempo.

A che pro vomitare in faccia quello che era il proprio ruolo in questa vicenda al primo sconosciuto? A che pro esplicitare il proprio ruolo di sicario biocida? Niente che giovasse a nessuno. Solo un banale tentativo di autosabotaggio, indotto da una porzione residuale di coscienza.

Il dottor Josaphat benché discretamente magro aveva una buona capacità di assorbire i grassi liquidi. Buona parte della sua alimentazione era composta da olio d’oliva. Se ne riteneva un estimatore. Un sommelier d’olii, o qualcosa del genere.

La sua era una esistenza buia, passata a rincorrere il fantasma di colei che in gioventù lo aveva reso felice. Una rossa bellissima, dalla pelle del colore della luna. Insieme erano felici, lui aveva il suo piccolo gioiello da tutelare, un centro di gravità a cui dedicarsi a tempo pieno, in grado di fornirgli infinita soddisfazione, tutt’altro che solo sessuale. Qualcosa in grado di nobilitare quel piccolo guscio che era il suo corpo sciapo e la sua vita vuota. Poi lei però lo lasciò. Josaphat non la prese bene. Si rabbuiò sempre più. Fece a lungo pratica col rifiuto, arrivando a teorizzare la propria stessa non esistenza. Si riprese però per capelli da solo. Alla fine normalizzò la propria vita. Si rassegnò. Sposò una donna brutta, sforzandosi ogni giorno di farsela piacere, provando ad addomesticarne i lineamenti.

-Quando siamo vicinissimi non sembri così brutta.

Pensava.

Ma la realtà era un’altra.

Si può dedicare il proprio presente ad un ricordo intangibile e ormai irrimediabilmente perduto? Lo si può fare senza diventare dei mostri che spargono odio per distruggere la felicità altrui in favore di una sorta di universalizzazione del detto “mal comune mezzo gaudio”?

Forse è possibile, in linea teorica. Ma lui era troppo umano per riuscirci. Come gli uomini deboli che per essere forti devono uccidere una parte di sé, decise di eclissare idealismo e filantropia. Si mise al servizio del Capitale. Si mise al servizio del Codiro appunto.

Atterrato l’aereo, noleggiò un automobile diretto a Gallipoli.

Si godette un giorno in spiaggia, osservando il mare. Ebbe modo di pensare ai capelli ed agli affetti perduti. Immaginava in quel mare di giugno arenarsi e morire foche e delfini. Immaginava indigeni, dalla pelle più scura dei locali, intendere tale nefasto spettacolo non come cattivo presagio, ma come dono divino di carne, ottenuta senza sforzo. Un benevolo dio dei mari che nutriva le sue genti.

-Non è che io ce l’abbia con questo o quel posto, sia chiaro. È solo che con qualcuno bisogna prendersela, no? La mia perdita, le vostre perdite. L’umanità intera partecipa a questo giochino sado-masochista dello scambio di dolore. Una rete di frustate e coltellate che si ripete nel tempo da sempre. Le mie piaghe diventano frusta. Il mio orgoglio macchiato, corroso e numerose volte ripiegato, assume forma e qualità di lama di machete, con cui ripetere l’eterno scambio di dolore.

La costruzione mentale di una macchina volta allo scambio del dolore in qualche modo lo consolava. Erano passati trentotto anni dall’ultima volta che aveva visto la sua Fiamma, prima che sparisse per sempre, e quello straniamento, quel risentimento e quell’odio non erano cambiati di una virgola.

-È pieno di imbecilli che ritengono che il tempo possa guarire le ferite dell’animo. Non ho trovato chiodo che scacciasse chiodo. Quel chiodo che mi tengo è troppo speciale per scacciarlo. Sono certo che rivederla per un solo attimo non farebbe altro che portare quel dolore ad una acuzie anche maggiore di quella che già è, ma non mi interessa. Lo farei, per quella infinitesima porzione di gioia. Anche se il suo volto fosse decrepito come il mio, anche se quei nuovi lineamenti andassero ad inficiare quelli scolpiti nei miei ricordi, non sarebbe comunque un dramma. Accetterei la croce per lei.

Aveva pensato di risolvere la questione in altro modo, cercando chi gli aveva portato via la donna, per cancellarlo dal mondo. In qualche modo però si era sempre bloccato prima di muoversi in qualunque senso. Non riteneva la cosa sportiva. Una parte di lui era convinto che la sua amata meritasse di essere felice, anche senza avere lui accanto. Non voleva essere così egoista da distruggerla, per non farle provare lo stesso dolore che aveva provato e provava lui. Si odiava per non riuscire ad avere una vera vendetta, e in ragione di ciò, si era arruolato nelle fila dei senza scrupoli. Le colpe di Fiamma le avrebbe pagate il mondo intero, o perlomeno una piccola parte di esso, da una piccola lingua di terra nel Mediterraneo.

Si rendeva conto della perfezione del piano che doveva realizzare, e della relativa semplicità dei compiti rimanenti. Poche prove, semplicità organizzativa, possibilità di riuscita comunque buone. Credeva nel valore della pianificazione, più di qualsiasi altra cosa. Era tuttavia pronto ad affrontare ogni imprevisto che si sarebbe parato sul suo cammino. In qualche modo era ansioso di compiere il piano che gli era stato affidato, ma non per timore di sbagliare qualcosa, quanto per la smania che lo consumava di vederne i nefasti risvolti. Il giorno successivo gli sarebbe stato recapitato un piccolo Bonsai di caffè, spedito direttamente dal Costarica.

Nelle ricostruzioni successive non mancò chi contrastò questa versione, sostenendo invece che il bonsai fosse d’ulivo, e che fosse stato spedito da Valenzano, vicino Bari, e che, addirittura, provenisse da un noto centro di ricerca. Ci sarebbe stato anche chi avrebbe parlato di un Oleandro infetto, e non sarebbe mancato chi, ancora più complottista, avrebbe negato il contagio, puntando più in alto, anche direttamente al cielo.

Un grosso trattore con annesso un enorme cisterna piena di erbicida marciava nella direzione in cui il professore era seduto, in mezzo ad un campo, con davanti il suo piccolo Bonsai con sopra un fiocco rosso. Era seduto su una sedia da regista, portata dall’albergo.

Il contadino si rivolse al professore:

-Come fa a stare in giacca e cravatta con questo caldo?

-Io vengo da un posto dove fa molto più caldo. Il sudore per quest’anno l’ho tutto consumato. Non posso più sudare fino al prossimo primo gennaio.

Il contadino si fece una risata.

-E non le dico le lacrime, quelle le ho finite tanti anni fa. Non potrò più piangere per tutta la mia vita.

Il contadino offrì una sigaretta al professor Josaphat, che declinò.

Il trattore proseguì.

Il professore tirò fuori uno strano strumento musicale, tutto sommato simile ad uno scacciapensieri, ma dal suono più basso. Teneva gli occhi chiusi, e con quel disarmonico pulsare si lasciò andare ad un castratissimo pianto. Ogni singhiozzo era strozzato. Le lacrime uscivano più dal naso che dagli occhi, tanto erano strette. Evidentemente gliene era rimasta qualcuna.

-Magari il mio modo di sublimare la cosa non è proprio quello giusto. Magari dovrei riprovare con l’analisi. Magari no.

Il piccolo bonsai al termine della lunga canzone era ricoperto di tanti insettini. Lontani parenti delle cicale. Delle piccole cicale, delle cicaline. Cicaline producenti bava da adolescenti, bavose un poco come tutti gli adolescenti. Cicaline dette sputacchine, proprio per la loro bavosità. Ciascuna beveva la linfa della piantina di caffè, incorporando dentro di sé, o perlomeno nei pressi del proprio apparato boccale, un cattivissimo batterio costaricano. Il nome del batterio sottintendeva il suo amore per la legnosità, e le numerose difficoltà che aveva presentato agli scienziati che lo avevano in passato studiato. Esso si chiamava: Xylella fastidiosa.

Le sputacchine si dispersero.

Josaphat se ne andò da quel campo. Scrisse su un biglietto anonimo, una lettera d’amore indirizzata alla sua vecchia fiamma, e allegatolo al piccolo bonsai lasciò la pianta in regalo ad una vedova che abitava a ridosso d’altri uliveti. Un piccolo gesto d’affetto senza interessi. Un mini focolaio, una piccolissima portaerei pronta a sparare missili terra-aria sulle piante dei dintorni.

-Ogni organismo alieno che tenti di insediarsi in un nuovo ambiente ha bisogno di una certa dose di fortuna. Questo non è un piano perfetto, ma non c’è fretta. Qualora dovesse fallire altri rivoli di vento come me verranno a disperder infausti semi.