Resistenza Quechua.

La resistenza della Baia dei Turchi

La nostra personale esperienza di sopravvivenza. Foraggiata da spese alimentari corpose presso discount di varie catene. Una sorta di San Lorenzo perpetuo, ma decisamente fuori stagione.

Sapevamo che sarebbero tornati. I turchi, o insomma i saraceni. Quel tipo di figura atavica, la figura dell’infedele, diverso per cultura e tratti somatici. Una figura che arriva, conquista, uccide.

Noi Europei per altri popoli aldilà del mare abbiamo incarnato ovviamente il medesimo archetipo. Negli Europei andrebbero comunque inclusi anche i nostri amici statiunitensi, per lineamenti e modalità di conquista, benché rappresentino una regressione su vari ambiti (seppur non su tutti, purtroppo).

Una spiaggia battuta dal vento. Un costone roccioso di riferimento. Una pineta immediatamente contigua.

-Siamo qua già da tre giorni.

-Lo so Roberto, sapevamo però che non sarebbero arrivati subito.

-Sì, però insomma, non è che duriamo molto così.

Un’esperienza che aveva coinvolto personaggi di diverse ispirazioni ed età. Giovani al di sotto dei vent’anni, rapiti dalla passione per un’esperienza folkloristica al pari dell’ubriacarsi ad una Notte della Taranta qualsiasi. Persone rientranti nell’ambito operativo della destra tradizionale, o meglio, più banalmente nel conservatorismo para-dittatoriale. Scelba? Mah, sì. Volendo. Ma alla fine l’espressione “alla texana” dovrebbe comunque restituire un’idea corretta di quel macro-insieme. Poi certo, vi erano anche altri fascisti più tradizionali o cripto-tali (critpo-fascisti insomma). Da aggiungere i para-militaristi, sempre molto ansiosi di giocare con ricetrasmittenti e proiettili di gomma. Il tessuto della sinistra era comunque stato coinvolto. Alla fine tutti amavano menare le mani, entro certi contesti.

-Ma stasera che mangiamo?

-Guarda, tonno ne teniamo un sacco. Bisogna vedere se quei fornellini di merda funzionano per poter fare la pasta, sennò dobbiamo andare avanti a tonno e patatine. Che poi, se devo proprio dirtela tutta, non è che mi faccia proprio schifo cenare con tonno e patatine. Alla fine la nostra è una situazione momentanea.

-Per carità.

Metteva in bocca una patatina Chernobyl. C’è anche chi le chiama OGM, soprattutto dalle parti della grecia salentina. Patatine bianche, fecola con pochissimo sale. Probabilmente fatte al forno e non fritte. Delicate, simili alle “nuvole” servite nei ristoranti cinesi.

-Proprio buone le Chernobyl.

Il cielo nuvoloso rendeva la nostra esperienza ancora più triste.

Due dei più giovani si avvicinarono alle nostre tende.

-Quindi quando questi arrivano che dobbiamo fare?

-Ancora non disponiamo di armi da fuoco, ed io personalmente le eviterei. Il piano rimane sempre lo stesso, li attiriamo nella boscaglia e là ricorriamo alle armi bianche.

Roberto mi interrompeva:

-Io non ci sto a giocare al bersaglio mobile. Non voglio diventare un puntaspilli per pallottole.

-Trova un modo per entrare in possesso di armi da fuoco e ne riparliamo. Inoltre ci dimentichiamo sempre la cosa più importante. L’oracolo che ha predetto tale venuta può essersi tranquillamente sbagliato. Mentre, qualora non si fosse sbagliato, ha comunque fatto presente che i giovani difensori della porta d’Oriente avrebbero respinto gli infedeli all’Inferno. Le profezie si avverano o non si avverano, non si possono avverare a metà.

Un certo sprezzo per il concetto di interpretabilità.

L’oracolo? Ma quale oracolo?

Si parlava da tempo, sui vari mezzi di informazione, di cellule terroristiche isolate da utilizzare per colpire punti strategici o non strategici, al fine di espandere l’onda di terrore anche nelle porzioni capillari degli Stati Europei, e di non rendere il rischio di attentato unicamente appannaggio delle metropoli o comunque delle città più importanti. Non più lupi solitari in città, ma ovunque, cosicché che nessuno di noi Europei potesse mai sentirsi davvero al sicuro. Un terrore formato provincia.

-Secondo te si può essere sbagliato?

L’oracolo del nostro caso era una specie di sogno collettivo, fatto da molte persone della provincia, soprattutto anziani. Almeno ultrasettantenni. Pochi avevano dato credito alla cosa, ma grazie a gruppi organizzati si era prodotta una piccola milizia impegnata nell’impresa. Una milizia senza pretese. Una armata brancaleone tascabile. Un’ensemble decisamente eterogeneo. Una dotazione di armamenti che sarebbe sfigurata anche in seno ad una lite di condominio.

-Comunque sia, dopo averli attirati nella pineta, come dire, ciascuno dovrà fare la sua parte. Io come sapete ho una spada di legno acquistata in un negozio sportivo ed un nunchaku discretamente pesante arrivato direttamente dalla Cina. Nella tenda c’è anche un falcione, anche se preferirei evitare di usarlo. Il nostro compito primario non è l’eliminazione degli invasori, ma la loro immobilizzazione e cattura. Qualora ci dovessimo riuscire entreremmo nella leggenda. Verremmo ricordati come gli eroi della porta d’Oriente. Coloro i quali dopo cinquecento anni sono riusciti a raddrizzare la storia a martellate.

Mi si avvicinò Potestà, un ragazzo di quelli meno raccomandabili. Era in mimetica. Ridicolo.

-Qua non abbiamo niente allora. Si tratta di coltellate al collo, e subito. Appena possiamo. Se ci mettiamo a fare la diplomazia, finiamo scannati al volo. La diplomazia, non so a voi, ma mi puzza di roba da ricchioni.

-Io ti dico solo come la penso io e come la pensano quelli del mio gruppo.

Roberto mi interruppe: -No, pure io non sono d’accordo. Secondo me senza pistola possiamo pure farci il bagno adesso nell’acqua ghiacciata, e morire di freddo. Non cambia assolutamente niente.

Potestà ricominciò: -Non dobbiamo pensare a tutte le possibilità del mondo, che sarebbero diecimila. Semplicemente, se questi arrivano, noi abbiamo tutto il diritto di ammazzarli subito. O noi o loro, abbastanza facile.

Giuvà, il ragazzo finito per sbaglio tra noi, protestò dicendo la sua: -Tanto se questi arrivano finisce come 500 anni fa. Con la differenza che voi non finirete nella Cattedrale, ma in una fossa comune, o peggio ancora dati in pasto, virtualmente, ai vari piranha di youtube.

La ferita ancora aperta subita dalla città di Otranto circa 500 anni prima. Il motivo per cui la spiaggia su cui eravamo accampati si chiamava Baia dei Turchi.

Giuvà continuò: -Noi non siamo in grado di giocare alla guerra, ma proprio per niente. Siamo una ventina di persone e nessun coglione tra di noi è riuscito a farsi prestare un fucile da qualche padre o zio, o nonno. Dove vogliamo andare? La guerra l’abbiamo già persa nel nostro cervello, nel momento in cui abbiamo deciso di combatterla da pacifisti.

Giuvà pensava di essere un filosofo. Era solo uno che non aveva niente da fare ed aveva colto al volo la possibilità di godersi la spiaggia in compagnia di altra gente. Non avrebbe mai cominciato di sua iniziativa un’esperienza del genere in solitaria. Aveva bisogno di sentirsi parte di un gruppo, ed una volta trovatosi dentro aveva assoluta necessità di dire la propria. Io non la pensavo in maniera così difforme da lui. Sotto sotto, seppur con varie sfumature, tutti condividevano questo modo di intendere la cosa.

-Prendiamoci sul serio Antonio. Dobbiamo risolvere l’approvvigionamento di armi.

-Roberto, guarda, io te l’ho detto. Li affronterò all’arma bianca, puntando sulla loro lealtà. A fine combattimento, quando saranno moribondi per terra, in quel momento potremo davvero sancire la superiorità della nostra civiltà. Sarà come avere vinto una crociata da soli.

Era giusto lasciare che il desiderio di un duello leale compromettesse la vita degli altri?

-Spero che i tuoi genitori abbiano da parte dei soldi per il tuo funerale.

-Roberto, non la mettere così. È chiaro se se stiamo qua siamo evidentemente tutta gente che non ha niente da perdere.

-Io in questo momento potrei star facendo altro.

-Tipo?

-Studiare.

-E invece perché sei qui?

-Per rimandare quei bastardi nel posto dal quale vengono.

-Cioè dove?

-All’Inferno.

Le sue motivazioni evidentemente erano più forti dalle mie. D’altro canto il mio venire da un humus culturale di sinistra mi impediva di gettarmi in toto all’interno di questa smania da pogrom.

Il tema del “rimandarli all’Inferno” era molto sentito. Effettivamente il deserto è un posto che quanto a clima deve somigliare in qualche modo all’inferno.

Cenammo con tonno e patatine.

-Tutto buonissimo cazzo.

Uno di noi, tale Samboa, pescava. Era stato anche l’unico puro di cuore ad aver acquistato delle bevande gasate di marca. Purtroppo i discount quanto a cole e aranciate lasciano parecchio a desiderare. Completamente opposto è il caso invece in cui si voglia dare il colpo di grazia a qualche diabetico fortemente provato dalla malattia. (Questa vorrebbe essere una stupida battuta inerente l’alto quantitativo di zuccheri presente nelle bevande da discount).

Data la temperatura esterna quella Coca-Cola che stavo bevendo era alla stessa temperatura di una Coca-Cola servita al bar. La cosa mi gasava parecchio. Anche la bevanda in sé però.

-Secondo te arriveranno davvero, Antonio?

-Lo scopriremo solo campeggiando, Roberto.

L’esperienza, per sua natura pericolosa, aveva escluso la presenza femminile nel nostro accampamento. Inutile dire che la cosa rendeva tutti frustrati e particolarmente cacacazzi su ogni ambito.

-Quindi Antonio sta rraschi?

Mi chiese Potestà.

-Settimana prossima comincio le infiltrazioni di cortisone nel gomito.

-Scusa ma che c’entra?

-Di veloce avresti solo un ipotetico grilletto.

-Che vuol dire?

-Niente. Non mi va di discutere.

Il grosso stereo collegato alla batteria di una automobile produceva un sottofondo reggae, da contrapporsi all’hip-hop, linguaggio violento dei jihadisti.

Io continuavo tuttavia a preferire il rap, anche perché dalle mie parti reggae e fascismo si sposavano alla perfezione, senza una logica chiara dietro. Blasoni identitari miscelabili senza alcun vincolo di coerenza, o semplicemente di logica. L’ampia forbice del pensiero dissociato rendeva possibile qualsiasi accostamento in questa terra.

Samboa prese il secondo pesce serra della serata.

-Questi mangiano, mangiano troppo. Stanno troppo attivi. Ed una volta che abboccano sono addirittura più energici del solito. Sembra che non tirino per salvarsi la vita, ma che lo facciano per buttarti in mare e sbranarti. Anche per essere dei pesci serra sono comunque troppo aggressivi.

Da lì a poco qualcuno avrebbe speculato sul valore di vaticinio di questa cosa.

L’unico coglione con una giacca, tale Michigan (per gli amici solo Salvatore) cominciò a spiegarci la cosa.

-È chiaro se si sta avvicinando una minaccia del genere anche gli animali siano turbati. Quei pesci serra sono aggressivi per lo stesso motivo per cui lo siamo noi. Se i nostri anziani sono riusciti ad avere questa visione, forse anche gli animali risentono del campo di cattiveria della disgrazia che sta arrivando.

Cimazzi rincarava la dose: -Quindi stanno per arrivare?

Roberto aggiungeva: -Secondo me stiamo davvero prendendo troppo tempo sulla questione rifornimenti. Senza armi da fuoco siamo già un paio di metri sotto la sabbia.

Non sapevo davvero cosa dire.

-Rischiamo di finire come Annibale a Cuma. Anzi, no, questa volta questa frase non c’entra niente.

Sarebbe stata anche appropriata, ma non era la mia posizione.

Per fortuna nessuno mi stava dando ascolto.

Arrivò la notte e con essa il freddo. La nostra terza notte accampati al gelo.

Roberto dalla tenda vicino mi diceva:

-Secondo te questa sabbia è sottile come quella dell’Alimini? Ce la porteremo dietro per settimane dopo aver sistemato quei figli di puttana.

-Qualora dovessero arrivare davvero Roberto, saremmo destinati alla disfatta semi-istantanea.

-Ma come, non eri tu che dicevi che le profezie non possono avverarsi a metà?

-Quelle sono cose che di solito si dicono quando non scappa da cacare. Quando si avvicina l’impellenza della defecazione la capacità di mentire di un uomo tende a scemare miserabilmente.

-Ma allora perché sei qui se non credi che ce la possiamo fare?

-Per dare il mio contributo, e nel caso per morire da eroe, insieme a voi.

-Morire da eroe come gli ottocento martiri? Attento a non confondere gli eroi con le vittime.

-Coloro che venerano gli ottocento martiri non accettano giudizi del genere su di loro.

-E tu da quando saresti loro devoto?

-Nella vita bisogna credere a qualcosa, no?

-Non per forza.

Non era più questione di ideologia. Non c’entravano davvero più niente le opinioni. Era solo una messinscena di una ripetizione storica. Una recita delle elementari. Negli anni erano arrivate varie popolazioni dal mare. Avevamo dimostrato una certa dose di accoglienza, alternata a paura, disgusto, odio, neutralità.

-Poveracci.

-Poverini.

-Però, alla fine, potrebbero pure starsene a casa loro.

Alcuni dei popoli venuti dal mare avevano di fatto costituito le basi della meridionalità. La Magna Grecia insomma. Altri erano venuti a darci il loro contributo genico inerente l’alta statura e occhi e capelli chiari. Altri, i nostri nemici storici, i Saraceni, attraverso la loro conquista ci avevano lasciato in dote, oltre alla barbarie, diversi centimetri bonus di membro.

Chiunque fosse arrivato su quella spiaggia con un aspetto da nordafricano o da africano, sarebbe stato ucciso o perlomeno malmenato, se disarmato ed in inferiorità numerica perlomeno. Se qualcosa ci avesse frenato non sarebbe stata tanto l’etica, quanto la paura o l’insicurezza. In questo genere di faccende, milizie improvvisate più che a dinamiche da guerra rispondono a dinamiche da scuole medie.

I due giovani, Dox e Patrick si avvicinarono alla mia tenda.

-Noi siamo d’accordo con te.

-In che senso?

-Sullo sfidare quei bastardi all’arma bianca.

-Grazie ragazzi, io me la gioco tutta sul vantaggio tattico, e poi sbebem, pungere come un’ape. Pungere come uno sciame intero anzi. Ma la prima regola è sempre la stessa, portare a casa la pelle.

Ai giovani avevo fatto presente la mia impostazione ninja della cosa. Gli avevo spiegato come camminare senza fare rumore, e varie implicazioni medico-anatomiche inerenti la facilità con cui si poteva abbattere un uomo utilizzando un oggetto contundente. Una marea di cazzate, o perlomeno di opinioni opinabili, volte unicamente a migliorare l’umore delle proprie truppe.

-Vabbè Antonio, sapevamo pure noi che una pietra grossa sulla tempia può ammazzare una persona.

-Sì, ok, ma io non è che so proprio cosa vi passa nel cervello o cosa sapete. Vi conviene che io vi tratti nel merito come persone che non sanno un cazzo, in questo modo evito di avere un approccio superficiale, e quindi di tralasciare delle informazioni che magari sono importanti. Importanti sempre a proposito di quel discorso sul portare a casa la pelle.

Il freddo non tardò ad arrivare. I giovani confezionarono una puttanella, uno spinello molto sottile.

-Hai visto, è uscita proprio una puttanella!

-Il cattolicesimo ci sprona ad essere razzisti e sessisti come pochi altri.

-Vabbè, non è che è veramente una espressione contro le puttane o contro le donne.

-Che poi sono sinonimi!

Si può esprimere un’opinione con sola valenza formale, senza condividerla. Ulteriore cemento per tenere insieme le truppe.

I vari amici vicino a noi si fecero una fragorosa risata.

In soli tre giorni eravamo regrediti a vari millenni prima della fondazione di Roma.

Sanremo era finito da poco, e qualcuno si permetteva lo stra-lusso di cantare alcune delle canzoni in gara. Il resto dei campeggiatori poteva avere reazioni che passavano dall’infastidito al francamente violento.

La tenda di Gegè venne buttata a terra. Non era una tenda autoassemblante. Gegè si arrabbiò parecchio. Nessuno sembrò preoccuparsi di Gegè.

-Ma poi chi cazzo è questo Gegè?

Dox mi chiese:

-Ti immagini se dai barconi scendono già a cavallo. Saremmo in netto svantaggio.

-Se lo facessero davvero si meriterebbero la vittoria, e noi meriteremmo di essere spazzati via da loro.

Un annuncio urlato:

-Sono pronte le salsicce!

Rodrigo, il più paesano di tutti aveva arrostito salsicce e spiedini.

Non si riusciva a trattenere dal lanciare un paragone sul lungo termine:

-Praticamente dice che ci stava questo romeno qua, appunto, il conte Dracula, che sicuramente tutti conoscerete. Questo dice che una volta che i turchi sono arrivati dalle parti sue li ha impalati tutti come questi spiedini e queste salsicce. Noi dobbiamo fare la stessa identica cosa. La stessa identica cosa. Solo che niente, alla fine non ce li dobbiamo mangiare.

Lo interruppi:

-Non per forza.

-Non per forza cosa?

-Non ce li dobbiamo mangiare per forza. Però, ecco, se volessimo, come dire… potremmo.

-Ma basta, scusa, non vedi che stiamo mangiando!?

-Io credo che cibandoci delle loro carni potremmo batterli in quanto a barbarie, e forse in un certo modo anche assorbirne lo spirito combattivo. È un viaggio di sola andata, un viaggio di formazione. Se si diffondesse la voce che dalle nostre parti mangiamo Saraceni, i Saraceni, come dire, si terrebbero a buona distanza. Punterebbero ad approdare in altri lidi, tipo non so, nel barese. Combattere il terrore col terrore. Per carità: comunque un gioco a perdere.

Rodrigo e Potestà era quasi come se fossero la stessa persona. Era abbastanza divertente far esercizio di maieutica con loro giocando a chi fosse più fascista. D’altro canto un approccio più religioso sarebbe stato addirittura più adeguato in una situazione di grande incertezza come quella in cui ci trovavamo.

-Comunque vadano le cose, l’importante è avere un obiettivo: la vendetta degli ottocento martiri. Quanto alla nostra arma? Semplicissimo: il desiderio di rivalsa degli ottocento martiri medesimi. Il fantasma di quell’ingiustizia fungerà da letale contraccolpo per questi invasori.

Un giovane frequentatore di un Seminario della zona, il già citato Gegè, si espresse:

-Non penso che si possa davvero girare la cosa in questo modo. I martiri non desideravano vendetta, hanno perdonato i loro carnefici, ed attraverso quel perdono si sono guadagnati il regno dei cieli. Hanno interrotto il circolo della violenza, salvandosi.

-Questa questione del perdono la stai mettendo in mezzo tu adesso. Io non penso proprio che abbiano perdonato quei famelici bastardi senza etica. Sono arrivati qui purgandoci a sangue. Questo fatto delle decapitazioni multiple era attuale allora quanto adesso. Inoltre, a sentire quello che dicono diverse fonti, pare che il loro obiettivo fosse Brindisi. Partendo da Valona, in Albania, sono finiti qui a Otranto solo per via di una forte Tramontana. Andatevi a fidare voi della Tramontana. Come ci spedisce le varie mortifere esalazione dell’Ilva e di Cerano, ai tempi, ci spedì la minaccia Ottomana, o turca, insomma Musulmana. Diciamo che la tramontana torna comoda solo nel pieno dell’estate.

-Fai molta confusione tra termini e concetti diversi. Hai un approccio olistico che è davvero… forviante.

Gegè faceva il gradasso inserendo parole complicate, come un qualsiasi Don Abbondio. Giocavo in casa.

-Credi che sia così importante il campo lessicale in cui ci muoviamo? Quello che sarà importante alla fine dei giochi sarà l’origine del sangue che verrà versato su questa spiaggia. Quanto alle tue cazzate da filosofo, vorrei farti notare che tu sei uno di quelli che guarda Sanremo.

I vari ragazzi un poco più sbilanciati a destra, tra cui anche Rodrigo e Samboa si sentirono ri-galvanizzati da questa affermazione:

-Se i Santi sono con noi, pure questi dell’Isis saranno in buona compagnia.

-In compagnia di chi?

-De li morti loru!

Un sacco di risate, e vari insulti rivolti a Gegè per la sua attitudine canora.

-Gegè non capisci un cazzo.

-Gegè mo te minamu ntra mmare.

-Gegè a tenda te la consi assulu. Stasira dormi allu friscu.

Una storia può facilmente sfuggire di mano, nel momento in cui si metta troppa carne al fuoco, unicamente per produrre una spontanea aggregazione di trama. L’esperto preventiva, si occupa di quello sforzo necessario al radunare truppe e al disporle correttamente. Organizza, forma, predispone tutto affinché al momento dell’atto sui propri avversari si possa esprimere la massima potenza. Lo stronzo invece continua appunto a mettere carne al fuoco, sperando che tale carne assuma consistenza di soldati anziché di carne da macello, e che si comportino da eroi invece di finire in un piatto, o in una fossa comune, o ancora peggio che diventino cibo per uccelli, insetti e sciacalli. Ed anche quando l’intera costruzione comincia a collassare, lo stronzo è comunque speranzoso che i vari pezzi si possano incastrare tra loro, evitando la rovina totale. Egli temporeggia invece di agire. La sua qualità migliore è la speranza. La speranza, di solito, rimane vana in assenza di azioni, ma tale assunto non è per fortuna sempre generalizzabile. La speranza e la fede possono produrre miracoli. Rifiuto, distorsione, delirio.

Mi disse Rodrigo:

-Hai ragione su molte cose Antonio, ma parli come se fossi il nostro leader. Però qua nessuno ti ha nominato capo.

-No, guarda, io sono capo solo all’interno della mia tenda. Abbiamo deciso di mantenere una organizzazione orizzontale, non vedo perché nominare capi e capetti. Ciascuno fa il suo.

Gastone, amico di Gegè, ragazzo amante delle voci bianche e delle carni bianche disse anche lui la sua:

-Indipendentemente da come la si pensi, se davvero arriverà il califfato, beh, penso che avremo poco da stare tranquilli.

Si levò un gran coro di: -Grazie allu cazzu.

Espressi un mio parere frammentato: -La cosa dipende sempre dai punti di vista. La barbarie, per quanto orrenda, può comunque portare nuove energie. Beh, questo è un discorso che forse avrebbe senso in generale, ma in questo caso mi appare fuori luogo.

Michigan ci fece presente che suo padre forse poteva prestarci un fucile ad avancarica.

Giuvà disse molto chiaramente che ce lo saremmo tranquillamente potuto girare nel culo un fucile ad avancarica.

Potestà disse che era comunque meglio usare un fucile del genere che affrontare gli invasori con “armi ninja”.

Rodrigo contestò anche lui il mio approccio anacronistico alla difesa delle coste mediante utilizzo di armi bianche.

Roberto sbuffò dicendo che se volevo finire sotto terra dovevo intraprendere quel cammino in solitaria.

I miliziani del Califfato oltre ad aver pubblicizzato le loro mediaticissime esecuzioni, si erano anche dati da fare per sponsorizzare la distruzione di numerosi reperti archeologici. Una simile arroganza li rendeva assolutamente non meritevoli di alcuna forma di perdono.

Mingherino, un giovane dall’aspetto minuto decise di dire la propria:

-Io lo so che magari a nessuno interessa quello che devo dire, e che magari mi prenderete per un pazzo o per un sognatore, ma voglio dirlo chiaro e tondo. Non penso che ci sia altra strada che riempire il culo di sabbia a questi figli di puttana!

C’era sempre chi voleva restituire gli schiaffi ricevuti dal padre ad un bersaglio qualsiasi.

Un ulteriore coro: -Bravo Mingherino.

Ero abbastanza abbattuto da tutti questi discorsi. Non ne potevo più. Stavo perdendo seriamente la speranza. D’altro canto la mia proposta, quella di una guerriglia fatta con armi bianche era oggettivamente un invito al suicidio. Inconsistente, fattibile solo entro un’ottica di intrattenimento.

Santos, altro nostro amico, un tecnico informatico, aveva ancora tutte e sei le bottiglie di Buddha-Cola comprata per l’occasione. Nessuno di noi sapeva come se la fosse procurata.

-Senti Antonio, prenditene una. È quella con tripla caffeina. Agli altri non è piaciuta.

Gli altri si erano abbondantemente dissolti nelle birre doppio malto del discount (birra Stambecco) e la Coca-Cola originale comprata da Samboa.

-Ci credo che non sia piaciuta a nessuno, si sente solo la noce moscata. Mingherino ieri ha vomitato dopo due sorsi.

-Non credo che fosse quello il problema.

Mi rispose Roberto.

-Non credo che ne valga la pena.

Dissi io.

Tre bicchieri di Buddha-Cola a temperatura ambiente, intorno agli 8 gradi. Mi sarei dovuto addormentare prima dell’entrata in gioco degli sgradevoli effetti della sopra citata cola.

Fuori dalla tenda il nostro compagno rasta, Barkamena, aveva cominciato la sua ambigua dissertazione sul relativismo culturale e sul suo ruolo di mediatore all’interno di questa contesa. Francamente non sapevo di preciso cosa votasse, ma era davvero uno spasso sentirlo ancorarsi coi denti agli specchi sopra a cui si aggrappava. Era una brutta immagine quella del suo smalto dentale dilaniato dal vetro.

-Niente, qua tutti fate finta che la questione sia facilissima, che ci sono i bianchi, noi, e i neri, loro. Come se ci fosse, in tutto ciò, davvero qualcuno che ha torto e qualcuno che ha ragione. Come se noi non avessimo le nostre colpe colonialiste. Cioè, ma vi rendete conto?

Le mie posizioni non erano sufficientemente convinte e convincenti da farmi prendere parte a tutto ciò. Non volevo però che la buttasse sull’ideologico e che sfruttasse quel tipo di filosofia per trasformare in gelatina le ginocchia agli altri del gruppo. Veleno per il morale. Instillare in loro il seme del dubbio sarebbe potuto costare qualche vita in seguito all’indecisione prodotta. Invecchiando diventavo sempre più convinto della assoluta giustezza della rigidità dell’educazione militare in seno alla formazione di un corpo militare.

Il momento peggiore era quello in cui Barkamena cominciava ad utilizzare i suoi dread per fare degli esempi. Un giovane della sua età, un giovane che in fin dei conti aveva avuto le sue esperienze di vita vissuta, malgrado tutto continuava ad avere dei momenti in cui si esprimeva come una maestra elementare che si deve rapportare durante l’ora di educazione artistica con dei bambini di terza storditi dall’acqua ragia. Storditi dall’acqua ragia non tanto perché i bambini siano dei tossichelli, quanto perché si trovano ad essere alunni di una maestra assolutamente incosciente.

-Niente, supponiamo che ognuna di queste ciocche rappresenti una diversa etnia africana, mi seguite? Diciamo che io posso raggrupparle in diversi macro-codini. Ecco, uno è il corno d’Africa, l’altro è l’Africa Occidentale, l’altro ancora rappresenta il Maghreb, poi abbiamo l’Africa Centrale, che se mi permettete ha anche lei i suoi problemi…

Cimazzi prese parola, limitandosi come al solito a constatare l’ovvio: -Barkamena, non ti dispiacere eh, però non capisci veramente un cazzo!

Potestà disse la sua: -Ma tu no… cioè… pensa a girare sifoni, che poi no, li fai girare, e l’atmosfera già si migliora. No, invece, stai qua che parli, parli, parli. Parli, parli, parli. E quando si tratta di fare ste benedette salsicce Barkamena dove cazzo sta? Dove cazzo sta? Dove cazzo stavi?

-No, vabbè, stavo facendo delle cose.

-Delle cose? E che stavi facendo?

Mi rannicchiai nella tenda, cercando di non pensare a niente e sforzandomi di isolarmi acusticamente. Non era una buona idea partecipare a quel tipo di discorsi. Nessuno avrebbe cambiato idea. Le convinzioni di ognuno di noi erano come pietre pesantissime, impossibili da smuovere, o non senza produrre un’ernia a chi ci avesse provato perlomeno.

Feci il vuoto. Pensai al vuoto. Pensai nero. Svuotai tutto. Ma a dire il vero pensai comunque a qualche cosa.

I resti di altri San Lorenzi passati, alcuni accaduti davvero, altri inventati, o perlomeno ricamati, con finali diversi, e senza ombra d’insoddisfazione all’affacciarsi dell’alba.

Vivere senza aver mai il rimpianto di dire: -Sarebbe potuta andare diversamente. Sarebbe stato meglio se avessi… se fossi…

Perché si devono sempre fare i conti con questo tipo di tristezza?

Perché produce comunque soddisfazione pensare per periodi ipotetici coniugati al passato?

Dunque questo era probabilmente il motivo per cui ero su quella spiaggia a Marzo. Un fottuto feticcio. Un rimasuglio, un avanzo, sostituti. Un qualcosa a cui attaccarsi. Una sottana di un passato che di fatto non c’era mai stato.

Chi volevo che ci fosse in quella tenda con me?

I trenta vicini ed un vago retrogusto di diciannove, con le prime rughe intorno agli angoli della bocca, visibili solo in certi contesti.

La vecchiaia che ci rincorreva.

Riuscii ad addormentarmi malgrado i cattivi pensieri.

Sognai un amico di famiglia, morto da tempo, rimasto vedovo e risposato, il quale mi chiedeva il modo più economico di eliminare l’umidità da una vecchia cantina nel mezzo dell’inverno. Gli consigliai di installare un condizionatore d’aria, settando l’opzione di deumidificazione. Mi fece vedere le varie creste di muffa. Mi spiegò che in quello stato la casa non avrebbe trovato compratori, e alla lunga sarebbe collassata, divorata dalla muffa stessa. Se ne voleva andare con la sua nuova moglie, ma non mi aveva spiegato bene dove. In cuor mio ero sicuro che volesse andare ancora più a Nord di dove già stava (in “Altitalia”). Sarebbe però potuto anche finire in Toscana per quello che ne sapevo.

Sognai, illuminate dalla luce dell’alba, lunghe imbarcazioni farsi strada verso la spiaggia su cui eravamo accampati. Molto diverse da gommoni, dalla forma di piroghe, ma in grado di ospitare dozzine di barbari invasori. A dire il vero parevano più navi vichinghe piuttosto che qualcosa da accostare al mondo islamico, in qualsiasi sua accezione noi lo si possa considerare.

Prendevano la mira da lontano e facevano fuoco sul nostro accampamento. Molti di noi fuggivano, ma i più cadevano morti a terra. Più di un buco mi avevano regalato, ed ero colorato del mio stesso sangue. Malgrado ciò non sentivo dolore, e non avevo neppure una vera paura. Mi dava solo molto fastidio questo fatto del non riuscire a parlare. Finalmente attraccati inseguirono i superstiti e li macellarono all’arma bianca. Mentre ero immobile li vidi chiaramente usare il cranio svuotato di Roberto come una sorta di pipa per fumare una strana mista di ashish e resina di conifere.

-Forse non ci siamo capiti, qua proprio non si possono accendere fuochi. Lo sapete, la pineta. E ve la facciamo passare sempre a San Lorenzo e a Ferragosto, ma non potete venire pure a Marzo a fare i coglioni qua.

-Che possa essere la forestale?- Pensai- Ma cosa hanno da fare questi nelle notti di Marzo? Davvero sfidano l’umidità per cacare il cazzo a noi guardiani della porta d’Oriente?

Uscito dalla tenda me li trovai di fronte, stavano cazziando tutti.

-Sapete che cosa succede se da questi vostri fuochi parte una scintilla e finisce sugli alberi?

Potevo tranquillamente immaginare la risposta dei miei.

Qualcosa del tipo, no guardate, è troppo umido perché questa pineta si possa incendiare, anche sganciando napalm da dei cacciabombardieri.

-Signuria, ca puru ca mini benzina a pressione quai nu pija focu nu cazzu!

Avevo grosso modo indovinato.

-No, ragazzi, non ci siamo proprio. Qui scatta il verbalino. Verbalino, o meglio verbalone, visto che ne avete diversi di questi falò. Uno viene sempre con le migliori intenzioni possibili, sia chiaro, ma poi deve sempre sbattere il muso con questa maleducazione, questo volere prendere in giro gli altri, questo credersi superiori, questo lassismo così tipicamente italiano. Noi lo facciamo anche per il vostro bene. Se finiste in mezzo ad un incendio ci lascereste le penne, anche considerando quando siete sconsiderati.

Provai a prendere parte alla conversazione.

-Spero che abbiate capito il motivo per cui stiamo campeggiando in questo contesto, in questo mese dell’anno.

-Certo che siete in parecchi, voi morti di sonno. Ma quest’umidità non vi sfracellerà le ossa?

-No, guardi, le ho fatto una domanda implicita. Sa perché stiamo qua?

-Pensi che ce ne freghi qualche cosa? Sicuro vi state ammazzando di canne, ma noi non siamo della Finanza, non vi guarderemo negli occhi e non ci metteremo a perquisirvi. Vi facciamo un verbale, voi smontate le tende, e tutti insieme appassionatamente, ce ne andiamo affanculo. Mi segui ragazzo?

-Lei non ha risposto alla mia domanda.

-Ma figurati se mi interessa.

-Glielo dirò comunque. Noi siamo qui in attesa che arrivino i nostri nemici del Califfato. I nemici di questa terra, di questa Nazione, di questo Continente, e di tutto l’Occidente. Nemici sovrapponibili a quelli che oltre cinquecento anni fa uccisero gli Ottocento Martiri. Noi non siamo dei bambocci che si fanno le canne in riva al mare d’inverno, no signore. Ce ne freghiamo di questo inquadramento culturale da lei proposto.

-Guarda, mi sembri un poco ignorantello. I turchi che ammazzarono gli Otrantini, tanto per chiarezza, erano stati mandati da Venezia.

I primi raggi di sole illuminarono questa conversazione.

Continuò la sua paternale, il caro Forestale:
-Te l’ho già detto, se anche voi foste qui per soccorrere una balena arenata, o centinaia di clandestini spiaggiati, non cambierebbe davvero nulla. Se accendete dei fuochi in spiaggia vi dobbiamo fare il verbale. Inoltre pare che non sia la prima notte che vi fermate a dormire qui. Sappiamo benissimo che state campeggiando da giorni. Pertanto fateci almeno il favore di restare in silenzio.

-Io credo che lei davvero stia esagerando.

Esagerando. Una esagerazione.

Fino a che punto ha senso esagerare? Mettersi a discutere con un pubblico ufficiale.

Perché Rodrigo e Potestà, i due galletti non prendevano posizione?

Perché Barkamena non provava a prosciugare la pazienza di queste Guardie Forestali con i suoi viscosissimi argomenti paralizzanti?

Perché nessun altro mi aiutava?

La testa del forestale di colpo esplose, proiettandoci addosso il contenuto del suo cranio. Poco dopo ci raggiunse il rumore del colpo. Un proiettile di grosso calibro, sufficiente a far esplodere la testa di un uomo da una simile distanza, una distanza di molto superiore ai cinquecento metri.

Un po’ come un grosso pomodoro marcio lanciato a tutta forza contro un muro. Davvero una tempistica limitata per rendersi conto della cosa ed essere in grado di agire di conseguenza.

L’oracolo era giusto. Stavano arrivando.

In fondo in fondo, anche se fingevo di crederci, ero convinto che tutta la storia dell’oracolo fosse una pantagruelica cazzata. Invece dovevo rimangiarmi ogni pensiero di dubbio, senza avere il tempo materiale per farlo.

Un blocco. E adesso? Adesso cosa succede? Cosa può succedere? Come la logica può aiutare la narrazione a concludersi, evitando di ripiegarsi su se stessa implodendo? Solo un esercizio di retorica? Solo una purga.

Un rallentamento dell’azione. Un riepilogo. Tutte cose davvero necessarie? Un torpore immobilizzante. La paura. Al coniglio serve rimanere fermo, serve essere paralizzato, per non essere visto. Ma se il suo predatore ne sente l’odore, il coniglio che fa? L’olfatto, che senso speciale! Noi l’abbiamo ridotto a mero mezzo per saggiare la qualità dei cibi e degli interlocutori.

Una inutile digressione.

Alla fine sarebbe piacevole essere apprezzati per il proprio eroismo.

Nella misura in cui un fazzoletto imbevuto da muco di raffreddore si sarebbe asciugato su un termosifone di una scuola superiore sparato a folle potenza, io decisi di asciugare le mie pretese.

-Sgasiamocela, subito, cazzo!!!

I più svelti di gambe e di cervello, pur con le membra indurite dal freddo, ed i polmoni ammorbiditi dall’umidità, presero il volo verso la pineta. Ampie falcate, le falcate assunte di fronte alla paura. Falcate funzionali a tutelare l’interezza fisica di un corpo. Una vitalità necessaria a rimanere da questa parte dell’esistenza. Qualche corpo cadde per terra. Risuonarono nell’aria colpi e raffiche.

Il nostro passo veloce nella pineta.

-Siamo spacciati.

-Siamo morti.

-Chi ce l’ha fatta fare.

-Senza un fucile.

-Senza una speranza.

Le voci erano indistinguibili poiché spezzate dal fiatone, come nelle orecchie si sentiva solo il pulsare di qualche arteria compressa da sé per il troppo flusso.

Braccati.

Conigli che avevano atteso tre giorni per fare un lavoro da cani.

Conigli pronti a fare la fine dei conigli.

Terroristi rodati contro campeggiatori fuori stagione. C’era anche da aspettarsi un risultato diverso?

La gente che spera nei miracoli, se non salvata dai miracoli, può essere a posteriori definibile come suicida. Era quella la nostra situazione?

Le ramaglie umide, la sabbia bagnata anche in pineta. Passi pesanti, aghi di pino e melma.

-Mi sa Roberto che avevate ragione voi che dicevate il fatto delle armi… da fuoco…

-Scappiamo e basta!

Una rivolta senza rivoltosi. Una trincea di idee non può che infrangersi alle prime pallottole. Se almeno ci fossimo scavati una vera trincea nella sabbia.

L’ebbrezza di farsi fare il pelo da una grossa pallottola, venire sfiorati da quel tipo di fortuna tangibile che è in grado di separare il corpo dalla coscienza.

Un sacco di parole per descrivere quell’atmosfera compressa nella definizione di “cacarsi addosso”.

Una figura di scuro vestita. Un vestito a metà tra un lungo giubbotto di pelle ed un vestito da prete ci sbarrava la strada, imbracciando un grosso fucile.

Le cose vanno finite quando vanno finite, non si può prendere tempo aspettando che finiscano da sole. L’oblio è la punizione peggiore per qualsiasi scritto. Ne sottintende il nessun valore, o entro un’ottica complottistica, o perlomeno vittimistica, l’enorme valore.

Dunque ci si palesò, il saraceno. Già nel mezzo della pineta? Forse un’imbarcazione doveva essere attraccata in qualche altro punto della costa.

-Parlo italiano.

-Molto bene, niente, noi ce ne stavamo giusto andando.

-Dovete essere giustiziati.

Altri uomini dalle medesime fattezze e di scuro vestiti vennero fuori dal resto della boscaglia.

-Avete già ucciso i nostri amici?

-Penso che qualcuno in spiaggia sia morto. Comunque noi dobbiamo girare un video. Il video dove vi ammazziamo.

-No, vabbè, ma davvero. Noi ce ne stavamo andando. Poi non so, potete pure trovare qualcun altro sulla strada per il filmino delle vostre vacanze. Non per forza noi.

-Come mai stavate campeggiando in spiaggia?

-Niente, così, ci piace il campeggio.

-Voi eravate là perché sapevate del nostro arrivo.

-Non è vero.

-Esiste una pagina facebook che recluta organico per questa vostra missione di resistenza. “La resistenza della Porta d’Oriente”?

Disse ridendo.

Il terribile presente. Un presente in cui per radunare la gente si era costretti ad utilizzare bacheche pubbliche visibili anche da un utente qualsiasi sull’altra sponda del mediterraneo, a patto che conoscesse la lingua, o che fosse disposto ad affidarsi ad un traduttore automatico.

-Quella era una cosa goliardica.

-Mi dispiace ma non so che vuol dire goliardico. Non voglio neppure saperlo.

-Per dire… scherzoso, no?

-Niente affatto. Adesso la finiamo.

Una resistenza inutile. Una resistenza sostanzialmente votata ad un ulteriore martirio.

Nessun eroe tra di noi.

Solo altri martiri.

Eravamo andati su quella spiaggia per omaggiare i martiri col nostro impegno.

Gli avremmo omaggiati col nostro martirio invece.

Eravamo andati là per vendicarli. Desideravamo la loro benedizione.

Sfortunatamente eravamo incorsi nella loro maledizione.

Attorno a me vi erano Dox, Patrick, Roberto e Santos.

Nel giro di una decina di minuti arrivarono anche altri sopravvissuti.

Tra i radunati c’era anche gente accampata un po’ più lontano da noi, con cui non avevo avuto tempo di socializzare.

Attorno a noi non si sentiva altro che dire:

-Te l’avevo detto io, senza pistole addhru cazzu sciane.

A questo punto era chiaro che saremmo diventati nel giro di qualche mezz’oretta l’ennesimo snuff movie dato in pasta ai telegiornali. Doveva arrivare proprio questo ennesimo gruppo terroristico a riforaggiare quel genere di videoproduzione.

Disgustoso.

I video della nostra esecuzione presentati al mondo.

Un bel modo per fare impazzire genitori e parenti e per seminare il panico in Occidente. I telegiornali in seno ad una rappresentazione di cordoglio avrebbero ben gioito per i picchi d’ascolto. I giornali online avrebbero macinato bei soldi tramite incassi pubblicitari. Avremmo fatto girare un poco l’economia.

-Bene ragazzi, io dico solo una cosa. Se un miracolo, il sogno collettivo degli anziani, ci ha portato qui, forse un miracolo ci potrà salvare.

Tutti quanti erano sconfortati. Io non avevo ancora focalizzato del tutto la situazione in cui ci trovavamo, non la realizzavo. Mi rendevo conto di cosa accadesse, ma mantenevo una certa distanza. La distanza della dissociazione e del fraintendimento. La percezione della realtà era avvelenata dalla speranza. Era così grande la mia fede? Forse sarebbero potuti arrivare i colleghi della forestale. Possibile che non avessero fatto in tempo ad avvisare qualcuno? Nessun gruppo di forze dell’ordine si era reso conto dell’invasione? In che paese vivevamo?

Poi d’un tratto cominciarono ad accorgersi tutti dell’esodo di grossi granchi, che nella loro migrazione stavano facendo scappare dei rospi.

Per qualche motivo i granchi si erano spostati dal lago dove avevano preso casa, e stavano infastidendo i rospi della pineta, al punto di farli scappare in massa. Erano grossi granchi di venti centimetri, di colore blu. Parevano niente affatto preoccupati dell’invasione saracena. Proprio come i nostri invasori, anche loro provenivano da lontano, dall’Argentina, arrivati con l’acqua di scarico di qualche grosso mercantile. Non erano endemici della nostra zona, benché più o meno diffusi nel Mediterraneo.

Gli invasori parvero di colpo assolutamente in preda all’ottundimento. Esultavano piangendo. Si abbracciavano. Prima che qualcuno di loro potesse cominciare le riprese della nostra esecuzione cominciarono a spararsi in testa uno ad uno. Si puntavano i fucili sotto il mento e facevano fuoco, colorando i pini di sangue e di cervella.

Era davvero possibile che stesse accadendo una cosa del genere?

Il miliziano che prima aveva dimostrato di conoscere la nostra lingua ci disse:

-Il nostro Dio ci sta mandando un chiaro segnale. Un segnale di redenzione. Ci sta dicendo che la nostra missione è compiuta, aldilà dei risultati. La nostra ricompensa è già pronta. Attraverso il nostro sacrificio la vittoria della nostra religione sarà sicura. Dobbiamo solo unire le nostre anime a Dio.

-Ma… in che senso?

-Le vergini già ci aspettano fremendo.

Indicò gli strani animali che erano comparsi tra noi e parevano duellare per dimostrare l’assoluta padronanza del ruolo di specie anfibia dominante (anfibio in senso letterale e non cladistico).

Anche la testa del miliziano che parlava italiano diventò fontana fumante.

Sapevo da tempo che quei granchi erano diventati comunissimi nel lago poco lontano. Però pensare che potesse accadere una cosa del genere, conseguenze incluse, andava al di fuori dell’immaginazione di ciascuno di noi.

Molti dei nostri compagni erano morti, ma il nemico era sterminato per propria stessa mano. Per capire quale fosse il Dio più forte, se quello in grado di far comparire rospi e granchi per far suicidare dei miliziani, o quello in grado di far apparire granchi e rospi per sollecitare un sacrificio umano volto a vincere una guerra, ci sarebbe voluto ancora qualche tempo.