Uno squalo artico in vacanza.

Con un certo numero di difficoltà K. aveva trovato un impiego statale nel nord Italia. Gli andava tutto sommato bene, e grazie a quell’impiego poteva evitare di svernare al Sud, suo incubo ricorrente.

Tuttavia, una serie di circostanze che non staremo qui ad approfondire lo portarono ad essere positivo ad un esame tossicologico, che ebbe come conseguenza una sua sospensione dal lavoro per un periodo di sei mesi. Decise che non avrebbe ricorso ad impieghi occasionali, non potendo aver ragione dei complotti orditi dalla fortuna. Lasciò la città, tornò a casa sua, dai genitori, per l’ennesima volta.

La routine di coccole ai gatti, rosticceria nel pomeriggio e pasti caldi serviti a orari regolari gli andava tutto sommato bene, ma in quelle giornate piene di niente gli capitava di scassarsi abbastanza il cazzo.

Gli amici del luogo o erano impiegati in un lavoro a tempo pieno o si trastullavano in affaccendamenti tipici dello psicoticismo. Valutò l’inizio di una nuova dipendenza da sostanze pesanti, solo per addentrarsi anche lui nella nebbia della confusione psicotica, ma non aveva messo abbastanza soldi da parte, e non gli andava di cominciare un nuovo lavoro. Fece un paio di tentativi con degli infusi di noce moscata, ma non riusciva mai a finire di berne uno.

Dopo il primo mese alternava una pacifica serenità alla più seria delle voglie di raggiungere Cristo in cielo.

La fortuna gli venne incontro, a modo proprio.

Un filmato rimbalzò sull’internet, inerente un grosso squalo avvistato non troppo lontano dalla costa. In passato, con estrema occasionalità, erano già stati avvistati o catturati grossi squali tra basso Adriatico e Ionio. Celebre era lo squalo bianco pescato nel settantanove a Gallipoli, e più di recente un grosso squalo elefante avvistato dalle parti di Frigole.

La stampa locale ci mise poco a porre, più o meno erroneamente, in collegamento l’avvistamento di questa grossa bestia marina con alcuni sommozzatori spariti, e con varie salme di piccoli cetacei (perlopiù delfini) orrendamente mutilate rinvenute su qualche spiaggia.

Fosse successo in estate sarebbe stato l’ennesimo colpo al turismo. Se la situazione si fosse protratta fino all’estate sarebbe stato comunque un bel guaio.

L’unione dei comuni locali si consultò. Il sindaco del paese di K. gli inviò un’offerta di lavoro.

“Carissimo K., richiedo la tua collaborazione rispetto alla soluzione di questo problema. Mi rendo conto dei nostri passati dissapori, ma ho una offerta interessante da proporti. Ho parlato col direttore della ASL presso cui lavori. Ti propongo un reintegro lavorativo immediato e l’immunità da ogni eventuale futuro esame tossicologico. Tale lavoro figurerà come contratto a progetto, quindi ci sarà un discreto budget che dovrebbe ampiamente coprire le spese che affronterai.”

K. non credeva ad una sola delle parole del sindaco. Il ruolo del partito dopo l’ultima tornata elettorale si era fortemente ridimensionato, ed il ruolo medesimo del sindaco all’interno del partito era diventato di poco conto. D’altro canto le giornate di K. erano insopportabili; decise di accettare, rilanciando però su una serie di fattori. Richiese uno scatto di carriera, raddoppio delle ferie annue, e la totale immunità diplomatica inerente alla sola sfera delle sostanze d’abuso. Il sindaco accettò. K. era certo del fatto che bluffasse, ma d’altro canto non poteva fare altro.

Le precedenti missioni cui K. aveva partecipato erano quasi sempre delle missioni di infiltrazione, dove il suo compito era sostanzialmente quelli di destabilizzatore, o come preferiva definirsi lui, di catalizzatore magico, o di vettore di sfortune sostanziali. In questo caso invece doveva cacciare una bestia marina. L’esito della missione era tutt’altro che scontato, ma l’alternativa era quella di passare l’inverno in casa, ad ascoltare le lamentele della madre mentre immaginava delle conversazioni con i vari animali di casa. In assenza di sostanze la possibilità che tali animali li rispondessero in italiano era pressoché prossima allo zero.

Sui forum dell’internet dedicati alla zoologia marina, dai confusi frame delle videoregistrazioni dell’avvistamento dello squalo, si ipotizzava che si potesse trattare di un lemargo del Pacifico, o di uno squalo artico, bestie assolutamente incompatibili con la presenza nel Mediterraneo. Le fantastime della lunghezza dell’animale parlavano di dimensioni superiori ai sette metri. Un colosso dei mari. Più lungo di uno squalo bianco, seppur globalmente meno massiccio. Una bestia nota per la sua longevità oltre che per la sua pinguetitudine. Lento nel nuotare, bravo nelle imboscate.

K. a questo punto doveva trovare una piccola imbarcazione, una sorta di capitano, ed un minimo di equipaggio. Le sue skills nautiche collimavano con lo zero. Sapeva nuotare decentemente, ma quasi solo a dorso e a rana, inoltre non amava per nulla l’acqua fredda, e non aveva neppure mai indossato una muta. Aveva provato varie volte a cimentarsi con la pesca, ma i risultati erano sempre stati miserabili. Tuttavia era in grado di catturare serpenti o ramarri o gatti a mani nude, senza grossi problemi. Valutò la possibilità di usare qualche sostanza per aiutarsi nella caccia, ma si prefigurò già un finale in cui cadeva sballato nell’acqua invernale, immaginando col dovuto realismo il dolore causato da quel freddo acceso.

Incontrò uno dei suoi amici, un ingegnere navale, per parlargli della faccenda.

-Vedi Roby, la faccenda è semplice, il partito mi ha proposto un tot di grana per salvare la situazione. La nostra provincia non può permettersi un ulteriore calo del turismo. Sai, il turismo fa circolare la filigrana. Senza turismo torneremo a ciò che eravamo nella prima metà degli anni novanta, cioè solo raccoglitori di tabacco ed olive, e come saprai le quote tabacco ce le siamo vendute da un pezzo, e gli olivi stanno tutti crepando.

-Senti, ma non eri tu che l’estate scorsa voleva festeggiare ogni sera la morte del turismo nella nostra sub-regione? Non eri forse tu che ad ogni mezzanotte urlavi più arrosti e meno turisti?

-Per carità, è vero, ma le circostanze sono cambiate. Ho bisogno di risolvere questa faccenda per essere reintegrato al lavoro. Mi hanno promesso l’immunità tossicologica più un certo numero di altri bonus appetitosi. Potrò finalmente recarmi al lavoro sballato, e nessuno potrà dirmi niente. Questa è l’essenza della nostra nazione: la raccomandazione politica.

-Ecco, ci risiamo. Sei sempre il solito ipocrita. La solita banderuola. Proprio tu che ti incazzavi per la minaccia di estinzione degli squali, ora sei disposto ad ucciderne uno per poterti continuare a fare le canne. Ma ti rendi conto?

K. sapeva che il suo amico aveva ragione su tutta la linea, e sapeva anche che alla fine dei sei mesi sarebbe stato reintegrato comunque al lavoro, ma la possibilità di avere tutta quella libertà e tutti quei privilegi erano ragioni sufficienti per far venire fuori tutta la sua spinta anti-sociale. K. in fin dei conti considerava l’antisocialità come una delle più autentiche caratteristiche dell’essere umano, nonché una delle più vitalistiche. La inseguiva con razionalità, pur sapendo di non poterla mai abbracciare fino in fondo, probabilmente per via del suo fottuto sentire cattolico di base.

-Senti, io capisco le tue perplessità. È una situazione dalla quale probabilmente non si caverà alcun ragno dal buco, al massimo potremo prendere un granchio all’amo, circostanza tra l’altro già occorsa l’ultima volta che sono andato a pesca. Mi rendo conto inoltre che le mie motivazioni ti suonino come miserabili. Ma tieni comunque conto del fatto che stiamo gradualmente diventano dei vecchi di merda, dei colletti bianchi senza arte né parte, vecchi che pontificano sulla moralità peggio dei loro vecchi. Potrebbe essere l’ultima occasione che abbiamo per scrivere la storia della nostra sub-regione. Se ce la facciamo verremo ricordati come coloro che hanno salvato la loro terra.

-Come? Uccidendo un pesce? Ma ti ricordi quando ti auguravi che arrivasse uno squalo definitivo, un leviatano in grado di fermare la pesca dalle nostre parti. Ma non ti ricordi quanto ti incazzavi ogni volta che un vecchio pescatore si lamentava del fatto che la fauna ittica di zona si fosse ridotta a qualche pesciolino di merda? Non ti ricordi del murales che avevi fatto sui muri di cinta dell’oratorio del tuo paese con l’imperatore dei pesci serra che sgranocchiava un sub?

-Mi ricordo di tutto Roberto. Ma credo che questo sia il mio destino. Mi ricordo di tutto tranne di quel murales. Non è mai esistito. Me l’ero inventato.

-Vattene affanculo.

Roberto se ne andò dalla birreria piuttosto furente, trattando K. come una sorta di traditore. In fin dei conti lo era davvero. Le sue motivazioni erano tutte fallaci, e sulla bilancia della propria autodeterminazione, ciò che le faceva diventare rilevanti era esclusivamente il proprio egoismo, o se non altro in quel momento K. la vedeva così.

La mattina dopo Roberto gli scrisse per messaggio che era un pezzo di merda, ribadì che lo considerava un traditore, ma disse anche che avrebbe accettato di aiutarlo, se non altro per evitare che morisse ingoiato dai flutti o dallo squalo in questione.

Il pomeriggio successivo a quella mattina K. incontrò il suo amico Santos.

Nella sua cucina Santos era intento nel fabbricare una sorta di lancia, unendo con del nastro isolante un manico di scopa ed un coltello da cucina.

-Caro amico, vedo che il senno smarrito non l’hai più ritrovato.

-Non cambi mai. Vieni sempre qui a darmi del pazzo, non tenendo conto delle cose che mi sono successe nel frattempo.

-Quali cose?

-Dei ladri hanno provato ad entrare in casa mia. Così ho deciso di mettere delle telecamere, e di preparare delle armi per affrontarli.

-La migliore difesa rimane l’attacco, non c’è dubbio. Potresti valutare l’acquisto o la cattura di qualche pitbull giacché, qui in paese ce ne sono parecchi.

-Vorrei evitare i pitbull. Spesso attaccano i loro stessi padroni, soprattutto quando scelgono croccantini da discount per la loro sostentazione.

-Che linguaggio forbito che hai assunto.

-Mi sono documentato molto su internet in questi tempi.

-A che proposito?

-Sovranismo. Lotta agli immigrati. Reddito di cittadinanza.

-Ah, sei diventato uno di loro quindi.

-Tu invece, resti sempre col popolo delle salme?

-Sai, sono un democratico, a modo mio. Perlomeno dalla caduta della cortina di ferro in poi.

-Purtroppo non tutti hanno il dono di capire.

Santos aveva trovato la sua personale illuminazione attraverso il dio minore dell’internet, il quale in effetti aveva donato a tanti la comunione della paranoia.

-Non sono venuto qui caro amico a discorrere di immigrati o di reddito di cittadinanza. Visto che sei così informato avrai letto dello squalo giusto?

-Sì, c’è stato un secondo avvistamento dalle parti di Castro.

-Il partito, quel partito, mi ha chiesto di ucciderlo. Sto radunando persone con specifiche competenze per farlo fuori.

Santos la pensava esattamente come me rispetto alla necessità di tutela della fauna endemica. Ma d’altro canto quella bestia sembrava essere un alloctono.

-Quello squalo è alieno a noi. Non è una bestia marina mediterranea. Se c’è da farlo fuori contami pure. Cosa avrò in cambio?

-Qualche soldo. Nulla di più. Nulla di più oltre alla gloria di figurare a breve come un salvatore dell’economia turistica locale.

-Va bene.

Seguì un ulteriore avvistamento della bestia, da parte di un sommozzotare del nostro stesso comune, impegnato in una rischiosa sessione di pesca notturna.

Il giornale locale, Il tacchino, riportava la seguente intervista: “Avevo appena colpito col fucile una grossa cernia, una cernia di almeno 60 kg. Dopo averla tirata via dalla tana, nell’atto di risalire, ho visto due strane luci avvicinarsi a me. Ho puntato la lampada su quelle luci e l’ho visto. Un enorme squalo, con gli occhi ricoperti di strane protuberanze luminescenti. Doveva essere cieco. Non sono riuscito a muovermi. Si è avvicinato alla cernia che ancora sbatteva e l’ha succhiata nella sua bocca, facendo una sorta di risucchio. Ho dovuto lasciare andare il fucile. L’ha portato con se. Sono uscito dall’acqua e sono tornato a casa. Penso che per un po’ mi fermerò con le immersioni. Mi immergo da vent’anni. Non avevo mai visto una cosa del genere. Non credo che sia naturale”.

I risvolti sociali, culturali e psichiatrici della faccenda furono notevoli. In estate i locali probabilmente si sarebbero addirittura rassegnati, seppur con notevole dolore, ad un eventuale divieto di balneazione. In inverno invece ebbero modo di elaborare tutta una serie di strampalate teorie da bar, facilmente rimbalzabili sull’internet, inerenti il vero motivo per cui quella immonda bestia era comparsa in quelle acque.

Un’arma di distruzione di massa turistica, inviataci dai siciliani, dai calabresi, o peggio, dai romagnoli. Un regalo da parte degli azeri per porre un placet sulle tante rivolte inerenti le proteste della popolazione locale sul gasdotto Tap. Una banale punizione divina, inviataci dall’altissimo, per metterci in guardia rispetto al tema del turismo non sostenibile. K. aveva scelto di credere a quest’ultima versione. Un mostro del genere non poteva essere più considerato semplicemente un animale, quanto piuttosto una protodivinità incarnata.

Insieme a Roberto e a Santos, K. andò a trovare il naturalista più esperto della provincia, presso un museo di scienze zoologiche, l’unico della provincia.

Si erano incrociati qualche volta ed avevano avuto modo di scambiare qualche opinione sul punteruolo rosso o sulla xylella. Il professore conosceva bene il ruolo di K. come quello di semplice appassionato della materia, nonché di pugnace nemico dei facili complottismi, dalle armi però tutto sommato spuntate. Lo aveva preso in simpatia per il modo in cui tante volte era entrato in conflitto con qualche comitatino locale anti-qualcosa, veterocomunisti fricchettoni adoratori dei complotti.

Seduti davanti a 4 grosse tazze di cappuccino piene di caffè istantaneo K. spiegò il loro mandato al professore, certo di subirne una condanna dal punto di vista etico.

-Non riesco caro K. a fornirti una mia posizione precisa. È vero, quello squalo è un alloctono, ma è anche vero come sia una vera meraviglia. Per quanto mi riguarda non credo che si tratti della specie pacifica, ma proprio di quella artica. A giudicare dalle riprese, facendo un confronto con la barca, dovrebbe essere l’esemplare più grosso mai rinvenuto. È notevolmente più grosso anche del grande bianco pescato a Gallipoli nel settantanove, seppur si tratti di specie diverse. Stando alle dimensioni, ed essendo ben nota in letteratura la correlazione tra dimensioni ed età dello squalo artico, posso dirti che quell’animale ha parecchi secoli di vita alle spalle, più dell’esemplare più vecchio mai catturato. Quello squalo si avvicina probabilmente al migliaio di anni.

-Mille anni?

-Lo squalo artico è il vertebrato più longevo esistente. Ma questo in particolare sembra molto più vecchio di qualsiasi altro mai avvistato o pescato. Potrebbe essere il vertebrato più vecchio del pianeta, quindi forse dovremmo trattarlo con una sensibilità diversa rispetto ad un alloctono qualsiasi.

-Capisco.

-Non puoi considerarlo semplicemente una minaccia per il turismo. Il fatto, inoltre, che si sia allontanato così tanto dal suo areale di provenienza, mi lascia con sole interpretazioni poco scientifiche.

-Cioè?

-Probabilmente è venuto a morire qui. Non potrà campare a lungo in acque così calde. Quando il mare si riscalderà lo squalo morirà da se. Anzi, ti dirò di più, è un miracolo che non sia già morto. È una specie molto ben adattata ai mari del Nord.

-Ne è certo?

-Nulla è certo nella vita, salvo la morte. Ma una bestia del genere forse vede la morte come una possibilità neanche troppo eventuale, essendo campata per così tanto tempo.

K. rimase in silenzio. In fin dei conti poteva tranquillamente aspettare il reintegro lavorativo e restituire i soldi per la missione al sindaco. D’altro canto, aveva già deciso per propri casi di uscire dal mondo delle sostanze.

-Quindi, quale è secondo lei la cosa più giusta da fare?

-Quello squalo è bello grosso, e sicuramente anche bravo a tirarsi fuori dai guai, ma ci sono tanti lupi d’acquitrino della nostra zona. Lo troveranno e lo ammazzeranno, indipendentemente da quello che deciderete di fare voi. Se anche non ce la dovessero fare, al più entro giugno, si arenerà su qualche spiaggia, del Salento o dell’Albania. Sarà cibo per gabbiani, che a loro volta moriranno avvelenati dalle carni dello squalo.

Spiegò loro della particolarità delle carni di quello squalo, così ricche di urea da non poter essere mangiate se non dopo processi particolari di cottura o di fermentazione.

Si congedarono salutando affettuosamente il professore, il quale sembrava loro una sorta di atavico nonno perduto, ritrovato e subito nuovamente perso.

Ne parlarono lungamente tra di loro dopo essere tornati a casa di K.

Il padre di K. fece presente al figlio il fatto che se era stanco di vivere poteva scegliere anche un modo più modesto di andarsene, senza finire necessariamente sui giornali per un’impresa da coglione.

Non informò sua madre del loro daffare.

A fine faccenda sia Roberto che Santos sembravano concordi sull’andare fino in fondo.

Era chiaro che le loro motivazioni non erano inerenti il compenso economico, e neppure riguardavano l’eventuale riconoscimento della comunità. Erano arrivati alla seguente conclusione: se quello squalo era davvero venuto da loro per morire, si sarebbero occupati con tutte le loro forze di celebrare per lui un giusto rito funebre.

Una restituzione del genere permetteva loro di eclissare il timore di essere guidati solo dal loro egoismo, o più che altro da quello di K.

Si recarono al Porto più vicino a casa di K., cercando qualche capitano di piccolo peschereccio disposto ad aiutarli.

I vari “capitani” li derisero.

-Su quello squalo tutte fandonie, figurati se adesso dal nulla compare un pesce del genere.

-Anche se ci fosse davvero non so come potremmo ucciderlo, bombe a parte.

-Quella cosa porta troppi guai. Io da canto mio preferisco farmi esclusivamente i cazzi miei.

-Guardatevi, siete tre ragazzini con la barba. Potete anche avere trent’anni, ma valete si è e no quanto un mozzo di dodici anni, di quelli effeminati poi.

-Vi do un consiglio, sanguinate a colpi di lametta là sui faraglioni, lo squalo si farà vivo se esiste, prima o poi. Quando arriva, limitatevi a farvi saltare in aria.

Tutti li prendevano per coglioni. Alla fine scelsero quello che li aveva offesi maggiormente, quello che li aveva paragonati al mozzo dodicenne.

Era parecchio simile al capitan Findus di metà anni 90, ma vestiva con una tuta blu da meccanico.

-Se ci sono i soldi si può fare. Ho anche un ecoscandaglio decente. Ma non ho idea di come uccidere quella cosa.

-Nella peggiore delle ipotesi lo possiamo speronare con la tua carretta, no?

-Non credo proprio. Cioè, rischieremmo a quel punto di finire in fondo al mare con lui, o peggio di finire in acqua ed essere mangiati dallo squalo.

Lo salutarono e pensarono al come avere ragione di quella bestia.

Santos pensava ad una lunghissima fiocina pneumatica. Roberto era dell’opinione che fossero necessari davvero degli esplosivi. K. non sapeva neppure se una volta trovato lo squalo avessero avuto il coraggio di affrontarlo. Non era tanto la paura di morire nell’impresa, quanto la paura di uccidere quella bestia.

Quella notte K. sognò la spedizione. Sognò un paio di caprette vive sanguinanti, legate alla barca. Sognò lo squalo che lentamente si avvicinava all’imbarcazione alle prime luci dell’alba. Sognò di tuffarsi in acqua, di venire mangiato dallo squalo, di dissolversi dentro di lui e di unirsi alle coscienze di tutti coloro che lo squalo aveva mangiato, nei suoi quasi mille anni di vita, divenendone parte. Nel sogno K. non provava alcuna paura. Al contrario si sentiva stranamente rilassato ed assolto rispetto a tutte le sue mancanze. Quello squalo era la pistola perfetta con cui spararsi in faccia. Forse era davvero quello il motivo per cui si sentiva attratto dalla bestia. D’altro canto aveva ben chiara dentro di se la convinzione psicotica di poter divenire un tutt’uno con quella bestia immortale, e di usarlo, dissolto dentro di esso, come un sottomarino da crociera perpetua.

Il mattino seguente si trovò con i suoi amici presso un bar di Porto Badisco. Mangiavano gelati sotto il vento freddo.

-Allora K., la notte ti ha portato consiglio?

Chiese Roberto.

-Mica tanto. Ho sognato che la squalo mi mangiava, e la cosa mi andava parecchio bene.

Entrambi i suoi amici sembravano delusi. Quella presa di posizione pareva una sorta di pietra tombale sull’esito della loro impresa.

-Quindi ti stai arrendendo?

-No, no. Anzi. Solo che ho paura che se mai troveremo lo squalo, mi butterò in acqua per farmi mangiare.

Santos se la rise: -Sei sempre pronto a puntare il dito sulla stramberia degli altri perché sei tu il primo a stare fuori di cervello.

-Non penso di essere nelle condizioni di poter criticare con efficacia i tuoi argomenti.

Roberto puntualizzò: -Se anche le cose andassero così, a quel punto sarebbe nostra premura quella di uccidere lo squalo per vendicare il nostro amico.

-A quel punto probabilmente io e lo squalo saremmo una cosa sola. Vi inviterei a desistere a quel punto. Mi uccidereste definitivamente uccidendo lo squalo.

-Se lo squalo ti mangia muori, non diventi una parte dello squalo. Non esiste alcun animale che faccia incarnare dentro sé una parte dell’anima delle bestie che preda.

-Il mio sogno diceva il contrario. In questo momento non mi va di essere razionale. Non cattureremo quella bestia col buon senso. Tu Roby, che del buon senso sei maestrino, e tu Santos, che il senno lo hai perso da tempo, mi servite appunto come bilancia, per questa piccola traversata infernale ed invernale.

K. concluse dicendo che ogni volta in cui alla mensa del suo posto di lavoro come secondo era disponibile della carne di verdesca la prendeva sempre, seppur gli facesse schifo, sono nella speranza che una parte del coraggio dello squalo potesse venirgli trasmessa.

Finirono il gelato, dopodiché consigliarono a K. di schiarirsi le idee.

Si prese il suo tempo. Pranzò coi suoi genitori e poi fece un giro in tutte le pescherie di zona.

Alla quarta pescheria, dopo aver collezionato un ingente quantitativo di frasi tipo “trovati un lavoro” o “vattene affanculo”, trovò la disponibilità di un gestore.

-Capisco questo tuo interesse per questo animale. È tipico dei giovani fuori dal mondo interessarsi alle stranezze.

-Quello che voglio chiedere, ad un esperto di pesce quale lei è, è perché questo squalo è comparso qui?

-I pesci girano. Alcuni girano parecchio. Le anguille ad esempio vanno fino al mar dei Sargassi per riprodursi. Migrano un bel po’. Subito dopo essere nate si dirigono là dove sono vissuti i loro genitori, uno dei due almeno. Non si sa neanche bene come facciano ad orientarsi e come facciano a sapere da dove provengono, ma questa è la loro natura. Detto ciò, io gestisco solo una pescheria, non sono mica uno scienziato.

K. era in difficoltà.

-Quindi, forse, non ha neanche senso interrogarsi sul motivo per cui sia comparso qui? È strano che una specie del polo Nord venga fino a Lecce.

-Varie persone dicono che quello squalo è comparso per distruggere definitivamente il nostro settore turistico, ma dico io, uno squalo che vive al Polo Nord cosa vuoi che se ne fotta di quanti soldi spilliamo alla gente del Nord. Sono due Nord diversi.

-Giustissimo.

K. comprò tre pesci serra e ne andò.

Al ritorno a casa si fermò in guardia medica, dopo aver consegnato il pesce alla madre.

-Dottore carissimo, avrei una richiesta da farti.

-Dimmi dimmi.

-Hai sentito anche tu dello squalo?

-Ah sì, che bella bestia. No?

-Non lo so. Non capisco se sia un nostro nemico o meno.

-Nemico, nemico, e perché poi? Quello è un animale che probabilmente ha sbagliato strada.

-Ma secondo te lo dovremmo fare fuori?

-Mah, secondo me se aspettiamo alla fine si sposta. Magari se ne va in Calabria, o sale verso l’alto Adriatico.

-Quindi dovremmo solo aspettare?

-Mah, secondo me lo ammazzeranno prima.

K. glissò sul compito che gli era stato dato dal Sindaco.

Chiese al medico un paio di compresse di cortisone, per tenersi alto con l’umore.

Il Sindaco da canto suo lo contattò telefonicamente per avere aggiornamenti sulla faccenda. K. rispose che gli serviva un resoconto dettagliato degli avvistamenti dello squalo, e chiuse con un:

-Comunque sia è una roba che si potrebbe tranquillamente gestire la Guardia Costiera. Che cazzo c’entro io?

Nell’arco di alcuni giorni si accordarono telefonicamente col capitano, e senza coordinarsi troppo si prepararono alla missione.

Infine si radunò con i suoi amici al Porto, e da lì partirono in barca col capitano.

Discesero la costa verso Sud, non allontanandosi troppo e non prendendo il largo. Il capitano continuava ad offrire birre economiche a tutti. Nessuno dei giovani accettò la birra.

Roberto era riuscito a procurarsi delle bombe da pesca, diceva da un suo lontano parente. Santos si presentò con una fiocina collegata ad una sorta di tubo-fucile, asseriva di essere riuscito a costruirla da solo e si vantava di esserci riuscito in soli tre giorni.

Il capitano commentò: -Con quell’armamentario dovremmo essere sicuri che qualcuno di noi perda almeno un occhio, una mano, o che si riesca finalmente ad affondare questa bagnarola.

L’impresa pareva disperata. In fin dei conti il mare era piuttosto vasto, l’unico con una vaga esperienza sul campo era del resto il capitano alcolista. Roberto era in ansia, Santos era stranamente galvanizzato, e K. non sapeva davvero che cazzo fare.

-È più facile infiltrarsi in una cellula terroristica che dare la caccia ad uno squalo di mille anni. Quella bestia è campata tipo 35 volte la durata delle nostre vite. Avrà imparato qualche trucchetto, no?

-Può essere campato quanto vuole, ma con ‘ste bombe non credo che si salverà.

-Ma sai almeno come si usano?

-Io no, ma il capitano sì.

Il capitano annuì.

Santos guardava la sua turbo-fiocina, fremendo all’idea di spararla nel corpo dello squalo.

Il cielo era terso, ma la tramontana era più che sufficiente a segare le mani di chi la sfidasse senza guanti.

Nel tratto di mare immediatamente ad est del punto più ad est d’Italia un certo numero di gabbiani si radunarono intorno alla nostra barca, e cominciarono a farci strada.

Il capitano commentò: -Di solito seguono le barche, non le precedono.

K. tremando e con gli occhi bagnati disse che quello era ovviamente un segno. Definì quei gabbiani come la giusta banda per un corte funebre, e quella barca una cassa da morto galleggiante. Dovevano andare a prendere il defunto. Dopo qualche chilometro in direzione sud l’ecoscandaglio cominciò a suonare.

Il capitano commentò: -Qualcuno di voi porta fortuna, o sfortuna, a seconda di come vogliamo vedere la questione.

I gabbiani si dileguarono a raggiera.

Lo videro affiorare in superficie. Un corpo enorme con una testa relativamente piccola. Comunque molto più grosso di qualunque altro animale avessero visto.

Il capitano disse che comunque era meno grosso di una balena, ma i tre sapevano quanto valesse la parola di un marinaio alcolista.

-Bene, ragazzi, allora che facciamo?

Lo squalo si muoveva lentamente. Non pareva stare dando importanza all’imbarcazione, che oramai era ad una quindicina di metri da lui.

Santos disse: -Avviciniamoci, lo arpionerò con la mia fiocina.

K. si mise le mani nei capelli.

Roberto disse di preparare le bombe e di sganciarle non appena il pesce si fosse inabissato.

Così andò. Arrivati a circa cinque metri di distanza, Santos riuscì a fare miracolosamente centro con la sua turbofiocina, colpendo lo squalo sulla pinna dorsale. Lo squalo si inabissò velocemente. Un paio di cariche tra quelle sganciate dal capitano effettivamente esplosero, facendo oscillare vigorosamente la barca. Lo squalo tuttavia non apparve in superficie, e l’ecoscandaglio smise di funzionare, probabilmente a causa della botta. Roberto e Santos vomitarono. K. si chiuse in un freddo mutacismo. Il capitano riaccompagnò i giovani al porto, e dopo aver farneticato a proposito di un non chiaro danno che le bombe avevano causato all’imbarcazione disse loro che sarebbero passati alcuni giorni prima di poter riprendere il mare. K. assunse tali parole come un commiato.

K. aggiornò il sindaco, specificando che non c’erano garanzie sullo stato dello squalo. Il sindaco rispose che avrebbero monitorato con attenzione gli avvistamenti. Emanò inoltre un dispaccio alla Guardia Costiera, segnalando l’ultimo avvistamento.

Sotto il piumone del letto di casa sua K. non poteva far altro che pensare a quella bestia, apparentemente così mite. Non aveva dimostrato alcuna ostilità, e lui ed i suoi amici avevano provato a fargli la pelle.

Uscì da sotto le coperte. Si diresse nell’ultimo bar ancora aperto a quell’ora di notte.

Si fece un paio di sambuche, e le accese entrambe con l’accendino, non senza venire offeso dagli altri clienti del bar.

Non aveva dubbi su chi tra l’uomo e lo squalo fosse il vero mostro. Si fece coraggio, e leggermente brillo prese l’automobile e si diresse nel posto di mare più vicino a casa sua. La luna piena lo guidava tra gli scogli.

Si fece un taglio sulla mano e versò un po’ di sangue in acqua. Su quel tratto di costa era difficile anche solo avvistare una verdesca, ma d’altro canto era molto vicino al luogo dove il pescatore subacqueo aveva avvistato lo squalo in notturna, citando il particolare degli occhi luminosi. Era distante solo pochi chilometri da dove si erano scontrati poche ore prima.

Nel buio dell’acqua comparvero due flebili luci. Lo squalo aveva trovato K., o viceversa.

Fece un respirone, cercò di agguantare lo stesso stato emotivo provato nel sogno e si gettò in acqua, pronto a confrontarsi con quel freddo così doloroso. Durò un attimo, giusto il tempo necessario allo squalo per ingoiarlo senza masticarlo.

Quel freddo così intenso venne rapidamente dipanato e sostituito da un tepore ancestrale. K. smise di percepire il suo corpo, e si diffuse entro la carne e la coscienza di quella bestia.

Non c’era possibilità di comunicazione reciproca. C’era solo un altro mare, senza luce ma caldo. Era diventato una preda o una sorta di parassita, dentro quella bestia.

Riuscì ad assaporare qualche ricordo di quell’animale. Secoli tutti uguali. Pesci, foche, renne, qualche cristianuccio capitato per sbaglio. Ma gli sfuggiva ancora il senso generale di quell’esistenza, e soprattutto il se fosse davvero solo un animale o un qualche dio minore del mare.

Non era preoccupato granché della fine che avrebbe potuto fare. In quel posto si sentiva in qualche modo a casa, o se non altro era un riparo dal resto della vita. Di colpo, senza ragione gli venne in mente lo Stretto di Gibilterra, con una serie di connotati geografici non troppo precisi, se non il fatto che si trovasse ad Ovest. La sua coscienza dopo ciò si dissolse.

K. si svegliò su una spiaggia di Leuca, la mattina presto. Era cosciente, benché vicino all’ipotermia, coperto di secrezioni e con addosso la puzza di pesce che si può immaginare in una pescheria che rimanga chiusa per settimane ad agosto col pesce lasciato negli espositori.

Era passato un giorno e mezzo.

Chiamò da un bar a casa.

Il padre lo venne a prendere con Santos.

-Quello squalo non penso che sarà più un problema.

-Ancora non mi hai detto che cosa è successo K.

-Se anche te lo dicessi, non credo che mi crederesti.

-Provaci, no?

-Tu forse sei un po’ più aperto di Roberto. È andata più o meno come nel sogno.

-Cioè?

-Ieri notte ho trovato lo squalo a Badisco. Mi sono fatto inghiottire, e mentre ero dentro di lui probabilmente gli ho suggerito come tornarsene a casa.

-Scusa, ma… No, vabbè, non ti chiedo nient’altro.

-Se qualcuno mi raccontasse una storia del genere lo accompagnerei personalmente in un reparto psichiatrico.

Il padre, senza scomporsi troppo, intimò ad entrambi di smettere di dire cazzate.

K. chiese al padre di chiudere i finestrini della macchina.

Il padre lo mandò affanculo: -Te ti sei abituato a questa puzza, io no.

Ci fu un altro avvistamento della bestia, questa volta nello stretto di Messina, dopodiché gli avvistamenti cessarono.

Il Sindaco fece quel che doveva fare.

K. se ne andò nuovamente via da casa.

Non ci furono riconoscimenti ufficiali per i tre. Senza foto eroiche col corpo del mostro non c’erano eroi da festeggiare. La versione ufficiale fu quella che il mostro era semplicemente migrato. Gli altri due tornarono alle loro vite, delusi dalla mancanza di riconoscimento, ma felici di ciò che avevano vissuto.