Intercity Notte.

Intercity Notte

Malgrado la parvenza di normalità che cercava di far recitare alla sua vita, e malgrado il buon trattamento economico che gli era riservato per il lavoro che svolgeva, K. proprio non riusciva a mettere a tacere il suo senso di insoddisfazione.

Era abituato a mantenere le sue abitudini in maniera anche belligerante, per quanto fosse rassegnato al fatto di doverle cambiare a cadenza grosso modo fissa. Lavoro, amicizie, hobbies, pasti conumati ripetitivamente, più o meno tutto.

Non era certamente un tipo alla ricerca continua di emozioni, però cominciava a stargli stretta la sua attuale posizione lavorativa. Il dover prendere in carico i disastri della gente sul lungo termine gli pareva un peso insostenibile, e non tanto per gli aspetti emotivi del caso, quanto proprio per il numero di cose da fare, che mal si coniugava con la sua sconfinata voglia di stare buttato sul divano a pensare al massimo a modi efficaci di offendere i suoi nemici, reali, supposti o completamente inventati.

Tentò un bando per le ferrovie, una posizione lavorativa a tempo determinatissimo, praticamente un contratto a progetto, ma un progetto a breve termine, di respiro corto, quasi dispnoico. Non si trattava di fare il macchinista o il controllore, ma semplicemente di redarre una sorta di pamphlet divulgativo sui gloriosi intercity notte, i quali negli ultimi dieci anni erano stati gradualmente soppressi. Nel bando non era specificato granché bene il tipo di scritto richiesto. K. temeva di doversi trovare a scrivere una di quelle penose elucubrazioni emotive poetiche e patetiche inerenti il fascino del treno, del treno come metafora del viaggio, dei ricordi privati associati ai viaggi e così via. Un piccolo manifesto di piccole cose, composte soprattutto da cazzi propri. Il solo pensiero era sufficiente a fargli tornare in esofago i vari pocket coffee assunti in precedenza in maniera compulsiva, per avere una gratificazione rapida ed efficace. Non aveva nessuna intenzione di rimetterli, il loro posto era nel suo stomaco.

Nei giorni successivi all’invio della domanda on-line riuscì a lavorare in maniera abbastanza tranquilla e rilassata, il pensiero di quel potenziale impiego lo rincuorava e gli faceva immaginare un futuro prossimo meno lineare.

I colleghi spesso lo prendevano in giro per il fatto che si mimetizzasse abbastanza bene con le persone di cui si occupava. A lui però piaceva abbastanza camuffarsi da tossico, anche in vista del suo passato. La scelta di smettere di assumere sostanze se l’era fissata pro-termine, più come una vacanza da un’abitudine che non una vera cessazione. Gli piaceva solo sembrare ancora una potenziale minaccia per un avventore casuale; tale aspetto modernamente mostruoso gli pareva assolutamente calzante rispetto ai potenziali rischiinerenti l’impiego in ferrovia. Fosse stato per lui avrebbe cominciato anche ad affilarsi i denti sulla corteccia degli alberi, pur di sentirsi più pericoloso, o meglio, meno minacciabile.

Arrivò la risposta, doveva recarsi a Roma fare un colloquio. Prese ferie.

Al primo piano della stazione Termini, in un improvvisato ufficio di selezione del personale un signore con accento romano si occupò di intervistarlo.

-Quindi, ho letto la sua domanda. Potrebbe avere buone possibilità. Ho letto che lei ha già un impiego, probabilmente anche di degna remunerazione. Cosa la spinge a fare il colloquio da noi per questa posizione?

-Guardi, le devo dire la verità, semplicemente cerco una pausa dal mio lavoro attuale. Inoltre un’attività creativa ed avventurosa mi potrebbe servire da vacanza. Detto ciò, sono anche stato parecchio in fissa con gli Intercity, fin da quando ero adolescente.

-Mi scusi?

-Mi piaceva da ragazzo l’idea di viaggiare in treno di notte, anche su una brutta seconda classe. Ai tempi c’erano anche gli espressi, qualche volta ne ho anche preso uno. Il problema è che l’espresso notte, anche per via del minor costo del biglietto, rappresentava una situazione potenzialmente ancora più pericolosa di un intercity. L’intercity era il livello medium di difficoltà. Non amo granché giocare a difficoltà elevata, mi piace avere la situazione sotto controllo. Se perdo diventa frustrante.

-Parla delle sue esperienze in treno come se fossero delle partite a dei videogames. Si divertiva così tanto o semplicemente ha o aveva un cattivo rapporto con la realtà?

-La realtà dipende parecchio da come la vediamo noi.

-Ha capito di preciso in cosa consiste il lavoro che dovrà produrre?

-Insomma, mica tanto.

-Ci sarà anche un fotografo, per la parte fotografica del progetto.

-Ah, ho capito. Ma quindi cosa dovrei fare se venissi assunto?

-C’è ampia libertà. Si può scrivere qualsiasi cosa, pur che risulti interessante. C’è ovviamente la possibilità che il lavoro venga respinto. Diciamo che questo colloquio non è un vero colloquio di selezione, ci serve solo a respingere le persone che potrebbero causare problemi di immagine all’azienda.

-Però non mi sta rispondendo.

-Le sto dando parecchie informazioni, d’altro carattere però. Tornando allo scritto come le ho detto c’è parecchia libertà. Può scrivere uno o più racconti, tenendo presente che il titolo dovrà comunque essere “Intercity Notte”; in caso di più racconti potranno essere comunque sequenziati, numerati secondo il loro ordine, tipo: Intercity Notte 1, Intercity Notte 2, etc.

-Scusi, ma queste cose non potevate scriverle nel bando?

-Uno dei criteri di selezione è appunto quello di eliminare la gente troppo fissata con le regole.

-Ah, bene, non è il mio caso.

-Intende dire che è un anarchico?

-No, intendo dire che sono un fascista.

-È ironico?

-Nella modernità tutto è diventato ironico, nel senso specifico del termine. Tutto è duplice e duplicemente giudicabile. Tutto è il contrario di tutto. Il giusto, lo sbagliato, le tifoserie per qualunque cosa. Alla fine gli schieramenti in politica sono sempre due. Senza un sistema iperproporzionale è difficile che ci siano più di due posizioni.

-Lei sta divagando parecchio e mi trova sprovvisto di una laurea in filosofia, necessaria per brucare nei prati del niente. Dettò ciò, tornando a noi, saranno accettati tutti i tipi di scritto, incluse poesie, sceneggiature, meglio se adattabili a racconti, brevi saggi esistenziali sul significato del treno, del viaggio e dell’intercity notte.

-Ho capito. Altro?

-Come è ovvio che sia non sono accettati meme.

-Bene, vedo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

-Come avrà capito è uno dei tanti assunti. Nel periodo di stesura dello scritto le verrà data una clc temporanea.

-Una carta di libera circolazione?

-Esatto. Volgarmente conosciuti come i famosi “viaggi gratis in treno illimitati”, solo che nel suo caso saranno limitati fino a che il suo scritto non verrà accettato.

-Il compenso per la produzione dello scritto, se accettato, di quanto sarebbe?

-La clc diventerebbe perpetua, ed inoltre, a seconda del valore del suo scritto, potrebbe ricevere un carnet di viaggi omaggio per terzi, per un totale di 10 all’anno, che riguarderebbero solo trasporto a bassa velocità, più tremila euro. C’è anche una piccola quota di diritti che le verrebbe corrisposta casomai si riuscisse a monetizzare, anche nel senso di mero intake pubblicitario.

K. era estremamente soddisfatto della posta in gioco. Il fatto di poter avere quel privilegio, i viaggi gratuiti illimitati, l’aveva portato ad arrivare alla conclusione di avere assoluta necessità non solo di concludere il lavoro, ma anche di produrre in assoluto lo scritto migliore.

-Avrà possibilità di seguire alcuni capotreni da noi assegnati come tutor, certo, ovviamente a suo rischio è pericolo. Non è prevista copertura assicurativa da noi fornita, e come immaginerà un capotreno se non è furbo rischia di prendere facilmente degli schiaffi. Le consigliamo una assicurazione sulla vita.

-Si è spiegato alla perfezione.

Il piano di K. era banale. Dormire o scrivere durante il giorno, e fare dei viaggi di andata e ritorno durante la notte, cambiando treno a metà percorrenza. In quel modo sarebbe anche potuto riuscire a lavorare nel frattempo al suo impiego principale. Stava cercando di elaborare una soluzione molto flessibile, soprattutto per se stesso.

Spese un po’ di soldi in pocket coffee.

Era spaventato più dal fatto che i viaggi potessero essere noiosi che non dai reali rischi di un treno notturno.

Un paio di giorni dopo cominciò.

Si recò in stazione alle otto di sera circa, e prese una specie di diretto diretto in direzione sud-est. Si presentò al capotreno, giovane e poco congruo rispetto al ruolo. Capelli lunghi legati, barbetta e vari piercing.

-Sì, abbiamo ricevuto una mail dall’azienda a proposito di questo progetto. Diceva che ci avrebbero affiancato dei giornalisti. Sembrano tenerci molto.

-Non ho proprio capito in qualche circuito culturale vogliano far girare sta cosa.

-Potrebbe anche essere solo qualcosa di interno all’azienda, per motivare noi che ci lavoriamo.

-Dici? Un po’ uno spreco.

-Si sta muovendo qualcosa, sai. Le proteste sull’alta velocità, i vari cambiamenti sul servizio, i competitori vari, anche la questione dei voli low-cost. Aumento delle corse diurne, soppressione di quelle notturne. Non si capisce bene.

-A te succedono fatti divertenti o inquietanti durante il servizio?

-Certo. Infatti vado da uno psicologo, e qualche volta passo anche dallo psichiatra a fare un pit-stop.

Le premesse non parevano brillanti.

Il viaggio cominciò. K. decise di passare del tempo col capotreno, almeno inizialmente.

K. chiese se sapeva niente di eventuali altri partecipanti, sia scrittori che fotografi. Il capotreno non ne sapeva molto, ma disse a K. che sarebbe stato compito suo e non del personale ferroviario mettersi in contatto con gli altri eventuali partecipanti per le eventuali collaborazioni del caso.

K. era abbastanza indeciso comunque su quello che avrebbe dovuto fare in senso prospettico. Sarebbe bastata l’attesa dei guai che sicuramente lo sarebbero venuti a cercare, o si sarebbe piuttosto dovuto operare attivamente nel cercare contatto con gli altri viaggiatori?

Questo fatto del dover andare a rompere le scatole alla gente era un freno a mano sufficiente a far deragliare ogni possibilità di riuscita del progetto. Tuttavia non aveva intenzione di ridursi ad uno scritto ipsativo inerente il vissuto soggettivo di un viaggiatore in treno, ma manco per il cazzo.

-Fai spesso questo tipo di lavori?

Chiese il capotreno a K.

-Diciamo che spesso sono stato costretto a collaborare a dei contratti a progetto con finalità discutibili.

-Ma tipo di roba illegale?

-No, non proprio. Cioè, diciamo esattamente il contrario, però… ecco, in un senso abbastanza grottesco.

-Se la metti così non è che si capisca molto.

-È importante che si capisca poco, infatti.

-Ma tipo?

-Incarichi istituzionali banditeschi.

-Ah.

Il capotreno accompagnò K. nel vagone ristorante. K. conosceva bene la politica di sovrapprezzatura dei generi alimentari venduti sul treno, e non avrebbe certamente speso tre euro per una coca-cola.

-Te lo dico subito, io sui treni non compro niente.

Disse K.

-Stai tranquillo, se vieni con me ci fanno lo “sconto ferrovieri”. Insomma, un caffè ad un euro.

-Se la metti così è tutto completamente diverso. Ci sto.

Erano presenti non troppe persone nella carrozza ristorante. Quello che stavano mangiando era da un punto di vista qualitativo inferiore alla media dei pasti dei pazienti degli ospedali con severi problemi di budget.

Il capotreno prese un caffè. K. una coca-cola.

-Non mi ricordo come ti chiami, capotreno.

-Chiamami pure Saragoza.

-Sì, vabbè, però come ti chiami?

-Se dovessi comparire all’interno del tuo scritto, vorrei chiamarmi Saragoza.

-Vabbè, carissimo capotreno, per restare sveglio la notte bevi parecchi caffè?

-Il caffè lo bevo per il sapore. A tenerti sveglio sul treno ci pensa la paura, e ti assicuro che basta quella.

Il capotreno decise che lui e K. si sarebbero dovuti sedere accanto a due ragazze sulla ventina consumata.

Non erano italiane, ma parlavano italiano.

Il capotreno si dimostrò leggermente viscido, un atteggiamento secondo K. inqualificabile, ai limiti dell’abuso di potere. D’altro canto K. apprezzò comunque la facilitazione prodotta rispetto alle difficoltà intrinseche dell’entrare in contatto col prossimo.

Mentre il capotreno sondava il campo per capire se ci fosse una mezza possibilità perlomeno con una delle due K. si mise di traverso.

-Quindi, scusate se ve lo chiedo, non vorrei sembrare un tipo un po’ lugubre, o peggio una sorta di cacasotto, ma… voi non avete un po’ paura a viaggiare da sole di notte?

-Niente affatto, noi crediamo nel ruolo centrale delle donna nella società. Per non essere discriminate in quanto donne, proprio in quanto donne, dobbiamo dimostrare giornalmente che la donna, all’interno della società, può fare le stesse cose di un uomo.

-Per carità, sicuramente, ma la questione è che viaggiare sui treni notturni è pericoloso anche per un uomo, e forse addirittura anche per un uomo armato.

Il capotreno cercò di cambiare discorso, temeva che K. potesse far sfumare le sue possibilità, accendendo una discussione inutile quanto profondamente offensiva.

-No, senti, io lo dico proprio perché mi mette paura come cosa, cioè, secondo me potremmo passare la notte tutti insieme, ad andare in giro sul treno e socializzare con le persone tra virgolette “normali”.

Disse K. in un tentativo di accorciare le distanze.

Le ragazze sembravano perplesse. Il capotreno invece cominciò a subodorare un’occasione, una sorta di assist inaspettato.

-Beh, in effetti ragazze, proprio in quanto capotreno posso dirvi che a volte gira gente un po’ di merda sui treni. Una donna può fare tutto quello che può fare un uomo, ma nel corpo a corpo avrà sempre risultati più scadenti.

Intervenne K. specificando che una donna necessita di molta tecnica e di un grande allenamento fisico per poter uscire vincitrice da un combattimento con un uomo.

Le ragazze sembravano offese da questi argomenti: -Se ci tenete al fatto che facciamo il viaggio insieme, ci può pure stare, ma evitate questi argomenti da maschilisti, o finiremo per mandarci affanculo a vicenda.

K. sentiva il peso della scrittura di questo scritto. Poteva anche essere che i suoi ricordi giovanili dei viaggi sui treni notturni fossero francamente esagerati, a partire dal fatto che per lui quel tipo di prova era stata una sorta di passaggio all’età adulta, in termini di raggiungimento di una certa indipendenza. Ignorava, o non voleva pensare, che in alcuni posti del mondo i bambini a dieci anni hanno già ucciso parecchie persone.

Le ragazze erano universitarie, si occupavano di materie grosso modo umanistiche, tipo la psicologia, la filosofia, le scienze politiche.

Non sembravano molto interessate all’argomento della cessazione del servizio intercity.

-Siete un po’ in fissa con questo fatto degli intercity, cioè sono solo dei treni.

Disse una delle due.

K. si impose: -Per carità, per voi possono essere solo dei treni per gente squattrinata, ma per chi li prende spesso sono una specie di dipendenza.

-Dipendenza?

-In questi vagoni di acciaio scorre un’umanità dinamica. Quando prendi questo treno, c’è sempre un motivo. O sei un disperato, o hai fretta, o stai facendo qualcosa di impulsivo, spesso deciso all’ultimo momento. Voi ad esempio dove state andando?

-Stiamo andando nel Foggiano, dobbiamo scrivere una sorta di report sulle potenziali scismatiche all’interno della Chiesa Cattolica dei culti legati a Padre Pio.

-Ah, cavolo, interessante. E questo viaggio l’avevate già programmato?

-Diciamo che durante questo pomeriggio abbiamo un po’ accelerato le tappe.

Il capotreno se la rideva. Si sentiva già dentro ad almeno una delle ragazze. K. riconosceva il valore estetico delle giovani, ed anche alcune delle loro argomentazioni. Tuttavia vedeva l’interazione umana, in quel contesto, solo come un modo per lenire l’ansia che potesse non succedere niente durante quel viaggio, o in alternativa come un rito scaramantico per far sì che accadesse qualcosa di non noioso.

Si avvicinò un signore sulla cinquantina, che si inserì nel discorso, suscitando il fastidio del capotreno Saragoza.

-Ragazzi, ho sentito che stavate parlando di femminismo, diritti delle donne ed altro ancora, ma ecco, per quanto argomenti importanti io volevo parlarvi un po’ di ecologia.

K. vibrò, quella dissonanza, quel fatto così casuale, e pedantemente posticcio poteva segnare un viraggio nelle sorti di quel viaggio. Sentiva di stare assumendo il ruolo di centro di nucleazione, come i capelli che negli angoli delle stanze raccolgono la polvere intorno a loro, creando delle isolette di schifo, cibo per aspirapolveri.

Si lanciò nella conversazione: -Ah, di ambiente eh, certo, certo, come no. E di cosa nello specifico?

-Voi lo sapete ragazzi, siamo in perenne crisi energetica. Il nostro stile di vita dipende dalla produzione di energia. Grazie all’energia prodotta o stoccata, o producibile al momento, noi persone di quest’epoca dobbiamo lavorare molto meno, ed anche se il mondo diventa sempre più brutto, problemi di soldi a parte, la vita è globalmente molto più comoda di una volta.

-Non capisco se il suo sia sano progressismo quanto piuttosto un artificio retorico per inoculare il caos nella nostra conversazione già relativamente tesa.

-Ragazzi, no, non fraintendetemi, sono qui per parlare solo di canne.

-In che senso?

-In quel senso.

-Canne cioè il discorso canabis, legalizzazione, sifoni, moribondi da divano, movimenti rallentati, freddo diffuso e docce calde e litri di caffè come un unico antidoto a quel glaciale inverno tropicale?

-No, no. Io parlavo della canna comune, l’Arundo Donax.

-Ah, la canna comune certo.

Il misterioso uomo parlò della canna comune come di una sorta di idra.

-Puoi tagliare tutte le teste che ha, ma i fusti ricresceranno sempre. Uno le vede come piante diverse, nel senso di individui diversi, ma sono solo la fase vegetativa di un grosso corpo sotterraneo. È un unico grosso organismo.

-Ah.

-Il rizoma è tutto sottoterra, come il substrato delle rivoluzioni. Quello che è sottoterra è difficile da distruggere. Se bruci le canne uccidi i fusti della canna e le piante intorno a loro, potenziali concorrenti, ma il rizoma sottoterra sopravvive, e tira fuori nuovi fusti. Si avvantaggia degli incendi.

-Ma, non capisco dove vuole arrivare.

-Io mi occupo di coordinare e rilanciare le colture di Arundo in Italia. Per le biomasse.

-Ah, sì. Vabbè, ma che vuole da noi?

K. si era ritratto. Si era già stufato del giochetto di interloquire con uno sconosciuto.

-Cerco investitori, gente che abbia voglia di fare il contadino a zero rotture di scatole. Una volta piantate non bisogna fare quasi niente. Hanno bisogno di poca acqua, o meglio, l’irrigazione è al solo scopo di massimizzarne la produzione. Non ci sono molti parassiti, ed il quantitativo di fertilizzante da utilizzare, come l’irrigazione, è solo funzionale a massimizzare il rendimento. Dovete solo aspettare che vengano quelli dell’impresa a raccogliere i fusti, che tanto ricresceranno per fatti loro. Pensate che è anche una opera pia ambientale, sequestra carbonio atmosferico. Altro che differenziata, per il vostro eco-karma.

-Io sarei anche d’accordo con lei, soprattutto sulla questione del guadagnare stando sul divano in casa propria, ma in questo momento non sono molto interessato ai suoi discorsi da venditore.

K. ed il capotreno scacciarono educatamente il signore.

La loro alleanza era solo occasionale. Tale fatto aveva per K. una rilevanza speciale, in quanto ripercorreva proprio il senso di quei viaggi in treno che faceva da ragazzo, trovare alleati occasionali per superare la nottata.

Le ragazze si stufarono in fretta però degli argomenti di K. e del capotreno. Dissero in che carrozza si trovavano, ma aggiunsero che volevano provare a dormire.

-Tanto visto che sei capotreno dovrai passare a vedere il nostro biglietto no? Casomai ci vediamo dopo.

Se ne andarono.

-Vabbè, caro Saragoza, e adesso che facciamo?

-Bisogna fare i conti col fatto che queste ci hanno praticamente dato il ben servito, o se non altro un mezzo ben servito. Se vuoi però possiamo fare qualcosa di avventuroso, pericoloso ed emozionante. Possiamo provare a superare il punto di non ritorno.

-Controllare i biglietti?

-Esatto.

K. si stava confrontando con la banalità di quello che aveva appena detto. Quando passa il controllore e si è senza biglietto ci si caca abbastanza sotto. Ma quando il capotreno chiede il biglietto ad un tipaccio senza biglietto chi si caca addosso è facile che sia il capotreno.

-Sai se ci sono poliziotti a bordo del treno?

-Intendi la polizia ferroviaria?

-Sì.

-No, vabbè, non è proprio così facile. Diciamo che uno deve sapersela gestire.

-Tu te la sai gestire?

-Quando uno pensa di essere “arrivato” è massima la possibilità che venga fregato.

-Vabbè.

-Cerca di stare con gli occhi aperti. Io non ho nessuna intenzione di rimediare schiaffi o coltellate, ma non si sa mai.

-Ne parli come se si trattasse di fare un lavoro da soldato.

-Sui treni notturni si sa, le cose non sono mai tranquillissime.

-A me non è mai successo niente di esagerato, da ragazzo.

-Li avrai presi poche volte. Io ci lavoro sopra. Ho una casistica di riferimento più ampia.

Cominciarono coi controlli. La sezione dei vagoni a compartimenti era per fortuna in massima parte solo su prenotazione. Cuccette e i cosiddetti posti-letto. In ragione di ciò in quella zona si ergeva un notevole filtro ambientale, che minimizzava il potenziale criminogeno di tali viaggiatori.

-Questi sono tranquilli, anche se ogni tanto si trova qualche “infiltrato”. Spesso mi limito a controllare solo questa sezione. Loro diciamo che, in linea di massima, nell’ecosistema del treno, rappresentano le gazzelle nella savana. Sono loro le principali vittime di furti o violenze.

-Violenze? Ma ‘ste cose non escono mica sui giornali.

-Molte persone arrivano in stazione, dopo essere state vittime di qualcosa sul treno, e se ne tornano a casa incazzate. Non tutti denunciano, e molte denunce sono solo fogli di carta. Se viaggi senza prenotazione sei difficile da beccare, a meno che tu non sia un recidivo. Detto ciò però, io controllo solo i biglietti, non sono mica un poliziotto. Non ho armi. Devo cavarmela con quello che ho, e come principale obiettivo ho quello di arrivare al mattino senza incidenti, con tutti i denti in bocca e senza squarci.

-Scusa, ma fai solo treni notturni?

-Classico nonnismo degli anziani. Sai, questa vita diventa pesante dopo i cinquant’anni, soprattutto se hai famiglia. Noi giovani siamo degli scudi umani. Contiamo poco nel sindacato. Spero che quando sarò prossimo alla pensione mi sarà restituita la gentilezza.

-Capisco.

Il controllo filò abbastanza liscio per una ventina di scompartimenti, circa due vagoni. Alla fine del secondo vagone si fermarono in uno scompartimento pieno di ventenni che si ammazzavano di codeina e bevande gasate. Accolsero Saragoza chiamandolo guardia. Chiesero a K. se era l’avvocato della guardia.

-Ma voi pinguini che cazzo volete da noi giovani? Noi stiamo qua a fare nottata, a viaggiare, a cercare esperienze, e voi invece venite qua a guastarci la festa.

Il capotreno cercava di capire se era il caso fare la voce grossa. K. gli venne incontro.

-Cari miei, qua la situazione è abbastanza chiara. Vi state imbottendo di droga, e mi sembra anche una cosa legittima e rispettabile, ma mi sembra che non state tenendo bene conto del contesto.

-Che cazzo dici pinguino?

-Questo è il resort a cinque stelle del treno. Qui potete fare la voce grossa, ma potete farla solo qui. In fondo ci sono i vagoni con ambiente unico, la vecchia terza classe. Là la questione è diversa. Non ci sono ragazzini come voi con accento pseudo-romanesco. Ci sta un mondo diverso, fatto di persone che si arrangiano, e che al momento giusto possono mordere. Se state troppo sballati verrete semplicemente fatti a pezzi. Se vi va male vi inculano, in senso stretto.

K. non fece sorrisi di circostanza. Rimase impassibile.

-Ma se quello è il controllore tu chi cazzo sei?

-Se proprio vi interessa, sono anche io un pubblico ufficiale, a modo mio diciamo, quindi non fate troppo i galletti.

-Ma che sei ‘na guardia in borghese?

-Te non devi fare domande. Cacciate ‘sti cazzo di biglietti e ce ne andiamo, e ci risparmiamo quella parte di lavoro in cui chiediamo ai vostri genitori di venire a prendervi e di pagarvi un avvocato, mi seguite?

In sunto riuscì a farsi passare per un poliziotto, dicendo qualcosa che era vero per molto meno di un decimo.

I ragazzi tirarono fuori i biglietti, e cominciarono a chiedersi se fosse il caso di stare un po’ più guardinghi.

-Mi sei piaciuto! Disse Saragoza. -Una roba un po’ alla Don Matteo.

-Senti, non ti allargare per favore. Mi sembra che sono riuscito a non farti menare, quindi non rompere troppo il cazzo.

-Ehi, stai calmo.

-Sto calmo un cazzo. Non possiamo sempre essere diplomatici, no?

-Tu e chi?

-Noi, noi che ci occupiamo di mantenere un certo equilibrio sociale.

-Allora non ti allargare tu. Io non mi considero un custode del treno. Controllo solo i biglietti, e non proprio sempre.

Cominciavano a vedersi le prime crepe nel rapporto tra K. ed il capotreno. La situazione sarebbe potuta deragliare da un momento all’altro.

-Vedi, io in quanto capotreno devo poter stare tranquillo se le cose si mettono male. Ma non posso farlo in maniera sfacciata.

-Non capisco.

-Te lo spiego. Dentro uno dei bagni del treno, nascondo sempre una pistola. Cioè, non proprio dentro il bagno, diciamo accanto al bagno.

-Ah, ora capisco. Ma conti di poter fuggire da qualsiasi eventuale pericolo in direzione della pistola, se le circostanze lo richiedono?

-No, vabbè, io la vado a prendere se capisco che tira una brutta aria. Comunque fino ad oggi non ho mai dovuto usarla, per fortuna.

-Sai che c’è, che c’è sempre una prima volta per tutto.

-Tu hai la faccia di uno che porta sfortuna.

-È innegabile che inserito nell’atmosfera giusta ho spesso l’impressione di essere un catalizzatore di fatti strani.

-Questi sono fatti tuoi. A me non interessa.

Terminata i posti notte riservati K. ed il capotreno tornarono nel vagone ristorante. Presero nuovamente un caffè. Il capotreno smaniava e controllava spesso il suo cellulare, scrivendo a lungo e facendo smorfie di incazzatura.

-Non è niente, è solo che dei colleghi sui gruppi di lavoro mi stanno infamando, per il fatto della pistola. Dicono che sono un cacasotto. Dovevo farmi i fatti miei e non dire niente a nessuno. Ci mettono poco a metterti in croce.

K. chiuse gli occhi, poi gli riaprì.

Decise che dopo il caffè era probabilmente il caso di andare a cambiare l’acqua ai pipistrelli in bagno.

Entrò frettolosamente nel bagno, per via dell’urgenza; trovò al suo interno due ragazze, giovani e poco vestite. Una delle due aveva in mano una pistola, probabilmente la pistola del capotreno.

Una forte dissonanza cognitiva lo schiacciava. Finalmente si arrivava ad un punto di svolta nel viaggio. Certo, la ragazza era armata, ma K. era abbastanza sicuro che non si sarebbe beccato una pallottola.

Quella con la pistola parlò: -Cercherò di essere il più chiara possibile. La mia amica ha l’hiv, ,l’aiddiesse insomma. Se non ti vuoi beccare una pallottola, te la devi scopare. Qui ed ora. Ovviamente senza preservativo. Come saprai non si prende automaticamente l’hiv scopando, c’è solo una certa percentuale, che io non starò qui a specificarti però. Se ti va bene, ti sei fatto una bella scopata. Se ti va male, invece, ti sei fatto comunque una bella scopata. Se non vuoi rischiare di beccarti la malattia, rifiutandoti, ci penserò io a darti un piccolo supplemento di piombo. Sai, il piombo è un elemento naturale, può essere utile assumerlo per quanti hanno difficoltà a prendere delle decisioni.

K. era fiducioso nel fatto che una terapia di emergenza sarebbe stata comunque salvifica rispetto al rischio di malattia, e la mattina seguente se la sarebbe potuta cavare recandosi in un qualsiasi presidio ospedaliero. Il rischio di beccarsi la malattia era comunque inferiore a quello di essere sparato. Si domandava tuttavia se in quella circostanza di stress sarebbe riuscito a mantenere un’erezione adeguata.

Fece per sfilarsi la cintura, mentre era sotto il tiro di fuoco della pistola della ragazza.

Una spropositata frenata lo interruppe. Partì un colpo. Cadde.

Il pavimento di un intercity notte, sudicio. Il proprio sangue come detergente perfetto per pulire quello schifoso pavimento.

Più o meno quando la sua faccia si poggiò sul pavimento si svegliò.

Aveva sognato le ragazze in bagno, ma la frenata non era solo un sogno. Si ritrovò per terra davvero, ma nel vagone ristorante.

-Che succede?

Il capotreno rispose: -Stai tranquillo. Probabilmente abbiamo solo schiaffato sotto qualche animale.

Era molto amareggiato K. per il fatto di aver solo sognato quella svolta, tuttavia era consolato dal fatto di non essere stato sparato e di non essersi beccato nessuna malattia.

-Senti, mi sa che dobbiamo andare dai macchinisti a controllare. Sono alla testa del treno.

K. criticò l’ovvietà detta dal capotreno. Andarono verso la testa.

I macchinisti erano abbastanza simpatici. Collocabili certamente al meridione in termini d’origine. Non propriamente facile era però collocarli correttamente su una cartina.

-Preparati carissimo Saragoza, perché mo’ arriva il momento dei casini per te. Deve venire il pubblico ministero, e come avrai capito siamo in mezzo al nulla.

-Non capisco.

-Abbiamo messo sotto una persona.

A K. si gelò il sangue, e per qualche secondo si assunse la colpa di quell’evento, in maniera assolutamente megalomanica.

Il capotreno gli mise una mano sulla spalla: -Non è colpa tua. Sono cose che succedono.

-No vabbè, che c’entra, mica stavo pensando che fosse colpa mia. Ci mancherebbe.

Il treno sarebbe dovuto rimanere fermo per un bel po’.

Scesero dal treno, sui binari in mezzo al niente.

I macchinisti tirarono fuori le loro sigarette e se le accesero. K. aveva solo una sigaretta magnetica. Il capotreno lo derise per l’uso di tale macchinarietto.

-Si smette davvero con quella cosa?

-Si smette di fumare sigarette e si va a ruota con questa. Dice però che fanno meno male.

Uno dei macchinisti disse che invece aveva sentito dire in giro che facessero addirittura più male delle sigarette normali.

-Per un periodo l’ho pensato anch’io. Poi mi è passata la bronchite che avevo da dieci anni ed ho cambiato idea.

I macchinisti parlavano tra loro. Non sembravano in alcun modo preoccupati della situazione.

-Scusate eh, ma non vi cacate un poco in mano?

Chiese K.

-Sono cose che succedono. Nessun macchinista può frenare in tempo quando si tratta di un suicida di notte su una tratta dove si scorre a velocità. Nessun macchinista può perché un treno non è un auto. Ha una massa inerziale molto importante. Inchiodare significa uccidere comunque il suicida, insieme a tutte le altre persone presenti sul treno. Ci vuole poco a deragliare se sei un coglione impulsivo.

-Serve un bel coraggio anche per rimanere così freddi dopo aver investito qualcuno con un treno.

-Non è il macchinista che uccide il suicida, in linea di massima almeno. Non è neppure il treno. È il suicida stesso. No?

Gli argomenti di uno dei due macchinisti parevano allo stesso tempo sia ragionevoli che discretamente cinici.

K. e il controllore si avventurarono lungo il treno. Entrambi disponevano di una propria torcia elettrica.

-Sei venuto preparato, eh.

Affermò il capotreno.

-Immaginavo che ci sarebbero potute essere delle complicazioni.

-Vivi sempre così in apprensione?

-Mi piace molto l’idea di poter risolvere una situazione grazie alla mia previdenza. È un modo abbastanza economico di risultare intelligente agli occhi del prossimo.

-Sì, insomma, un calcolatore vanitoso.

-Questo è uno dei modi entro cui si può ragionare sulla cosa.

Il capotreno si accese in bocca due sigarette contemporaneamente.

-Ti piace atteggiarti, eh?

-Lascia perdere. È solo che stiamo andando a cercare di rimettere insieme con lo sguardo un corpo macellato.

-Ah.

K. si trovava a dover mettere se stesso a confronto con la realtà. Aveva sperato in una svolta pulp della narrazione, ma il poveraccio sotto il treno gli faceva parecchia pena. Di colpo tutto il suo entusiasmo era evaporato. Era decisamente preferibile la scena delle ragazze della lotteria delle malattie infettive in bagno. Roba di cui vantarsi al bar fino anche a dieci anni dopo la pensione.

Un bel piantino sordo. Il suicida era vivo, sotto il treno.

-Questo è uno sviluppo inatteso, giusto?

Chiese K.

-Si sa che in teoria questo evento può succedere, ma capita prevalentemente nei suicidi in stazione, quando il treno viaggia a basse velocità, in entrata o in uscita. Questo caso invece sembra più un miracolo.

-Madonna che sollievo, volevo evitare di calpestare qualcosa tipo un polpaccio o una mandibola.

-Ci credo.

Il suicida era una suicida. Vestita in maniera abbastanza leggera, giovane, sulla ventina. Capelli biondi tinti con abbondante ricrescita, pelle pallida alla luce delle torce. Comunque carina.

K. riusciva solo a dire frasi di conforto, da manuale del bon ton post-catastrofe. Le parole che diceva le diceva come moneta emotiva, per sottrarsi al compito di tirare fuori la ragazza da sotto il treno.

-Come può un’ambulanza arrivare fino a qui? Siamo in un tratto relativamente deserto, no?

-La ragazza sembra stare bene. Probabilmente l’ambulanza la faremo arrivare nella prossima stazione.

I macchinisti furono contenti della cosa.

-Quindi adesso come vanno divisi i ruoli? Gli eroi siete voi che l’avete tirata fuori da sotto il treno o noi che abbiamo frenato come Cristo comanda?

K. rispose: -Nei miracoli non ci sono eroi terreni. Nessuno di noi è un eroe. Questa è la versione che daremo ai giornali, eventualmente. In seno al mio ruolo di scrittore a libro paga delle effesse manterrò questa linea.

I macchinisti se la risero. Parevano sollevati in qualche modo, ma avevano dissimulato tranquillità con una certa naturalezza fino a quel momento.

Risalirono sul treno. Il capotreno si mise d’accordo con la successiva stazione per coordinare l’arrivo dell’ambulanza.

Fecero un annuncio per chiedere se era presente un medico a bordo. Dopo poco il medico arrivò in testa al treno. A dire il vero pareva più un poliziotto in incognito che un medico.

Si rivolse alla giovane con la stessa gentilezza di una sonda per colonscopia.

-Quindi ragazza come mai è finita sotto questo treno? Stava forse inseguendo qualche coniglio?

La ragazza non riusciva a parlare.

-Deve essere sotto shock. Ma niente paura, con le giuste domande si aprirà. Quindi, signorina, sa che in Italia è reato interrompere il servizio pubblico? Lei si rende conto di quello che ha fatto? Per fortuna il treno ha accumulato solo un ritardo minimo. Ma questo è un altro discorso.

La ragazza continuava a non rispondere.

-Io lo capisco bene che voi giovani di oggi pensate che il vostro tormento esistenziale abbia la precedenza sullo Stato, ma non vi rendete neanche lontanamente conto di quanto siete egoisti ed egocentrici.

La ragazza ricominciò a piangere.

Tutti si complimentarono incongruamente, e forse ironicamente,col medico per essere riuscito a farla reagire. Il medico non accettò di buon grado i complimenti e continuò ad inveire contro la ragazza. Uno dei macchinisti, quello che non era alla guida diede uno spintone al medico e lo cacciò via.

-A me quello tutto sembra tranne che un medico.

Il medico minacciò di denunciare tutti.

Saragoza gli disse: -Perditi nei meandri del treno, in quei pozzi di dolore i fascisti come te trovano il loro destino.

K. continuò l’interrogatorio. Si sentiva piuttosto sporco nel cercare di ottenere materiale per il pamphlet, ma quella storia sembrava troppo grossa, e sufficiente a salvarlo dalla noia di mille viaggi inutili. Vedeva già suo il premio delle Ferrovie. Immaginava un futuro a medio termine in cui delle infografiche spiegavano come il mercato dei trasporti interni in Italia faceva registrare una brusca flessione dei voli low-cost rispetto al ritorno in grande stile dei treni notturni. Immaginava una tagline scritta sui biglietti degli intercity: -Viaggia di notte, vivi la tua avventura. Immaginava chiaramente un intero impianto turistico basato su quei treni notturni, che però entro un lasso di tempo abbastanza breve avrebbe snaturato quei treni della loro intestina materia di terrore, trasformandoli in un feticcio turistico, alla portata di qualsiasi ragazzino omologato in cerca del proprio rito di passaggio pretaportair.

-Quindi, come mai hai pensato di ucciderti?

La ragazza sgranò gli occhi. Non si sentiva ancora pronta a rispondere.

-Un treno è come una balena-lombrico di ferro. Pesa parecchio e si muove veloce. Vale come un grosso proiettile, più lento di un proiettile, ma parecchio più grosso, e dotato di un feroce apparato boccale, ruote di ferro. L’hai sfidato e ti ha graziata. Come quelle vergini offerte a draghi inappetenti.

-Io…

Riprese a piangere.

Al capotreno piaceva lo stile di K. Lo incoraggiò a continuare.

-Il tuo suicidio è fallito. Ma è stato un miracolo rispetto al quale noi siamo tutti testimoni, inclusa tu. Ci sono cose che non possono succedere nel mondo reale, devono verificarsi troppe coincidenze affinché avvengano. Davanti a questi eventi l’uomo costruisce castelli di postulati, fino ad arrivare a crearsi una religione. Noi adoratori della fortuna invece la apprezziamo senza farci troppa teoria. È una religione da scienziati, è l’asta che conficchiamo nel petto di Dio per non cadere mai nella tentazione di crederci. La fede e la speranza vivono qualche metro prima della rassegnazione, nel cuore battente e reattivo della disperazione.

K. si identificava a pieno in quel treno. Era già stato nella pancia di qualche mostro in precedenza, in senso pressoché letterale, quindi conosceva la sensazione. Voleva celebrare in modo debito quell’evento.

-Chi sei?

-Solo una ragazza…

Il di lei laconismo pareva fatto apposta per erigere un muro di incomprensibilità, funzionale al mantenere ben vitale ed irrorato adeguatamente quel mistero.

-Non mi volevo ammazzare in senso stretto. Ho solo sognato di finire sotto il treno migliaia di volte. Ogni volta mi trovavo cosciente, in un corpo spezzato. Potevo vedere dagli occhi, anche se morta. Potevo sentire quello che succedeva intorno a me. Ed il dolore, lo sentivo tutto, anche nelle parti del corpo che si erano staccate dopo l’impatto. Non potevo più vivere con quell’angoscia. Ho deciso che se anche mi fosse costata la vita avrei superato questo terrore.

-Come mai non sei morta?

-Sono inciampata, e sono caduta all’indietro. Subito dopo il treno mi è passato sopra. Ho sentito il calore dei motori e delle scintille dei freni.

-Saresti più contenta se fossi morta?

-Se fossi morta non sarei contenta. L’ho vissuto troppe volte quel momento. È stato davvero come morire per tantissime volte. Posso dirlo con certezza, non sarei più contenta di ora da morta.

La ragazza non aveva ferite esterne visibili e neppure lamentava dolore.

Aveva camminato a lungo dall’ultima stazione a quel pezzo di ferrovia. Se non fosse arrivato il treno forse il freddo avrebbe fatto il lavoro sporco senza aiuti meccanici.

Il capotreno la accompagnò nella carrozza ristorante.

-Cosa mi succederà adesso?

-Molto probabilmente ti accompagneranno in un reparto psichiatrico. Dovrai dire cosa è successo e probabilmente dormire qualche giorno là.

-E poi?

-E poi niente. Magari ti farà bene stare là. Nel mondo della realtà condivisa non è una scelta accettabile quella di cercare di diventare macinato per ragù usando a proprio vantaggio un treno come se fosse un macina-carne da macelleria.

Nella carrozza ristorante un signore era in compagnia del medico di cui prima. Entrambi avevano un abbigliamento piuttosto desueto, quasi ottocentesco. Secondo K. tale abbigliamento serviva a comunicare il loro estremo reazionarismo. Uomini come loro servivano a difendere le regole interne del sistema. Tuttavia il sistema che difendevano era mal coniugabile con un treno notturno.

Si presentò, l’amico del medico.

-Il sono il Dott. Guazzabugli, anche se non sono un medico. Sono più un antropologo, mettiamola così. Mi voglio scusare per il comportamento di prima del mio amico, ma è un uomo focoso quando si tratta di difendere le istituzioni.

K. si guardò con il capotreno. Pensarono che si trattava di qualcuno dei servizi interni delle ferrovie.

-Mi scusi, ma cosa vuole da noi? Stiamo portando questa ragazza a mangiare qualcosa. È quasi morta sotto il treno.

-È quasi morta, ma sembra incolume.

-Per fortuna esistono ancora i miracoli.

-Per fortuna… esistono, sì.

La ragazza mangiò una parallelepipedo di cioccolato farcito di caramello.

Guazzabugli cominciò ad incalzare logorroicamente:

-Capisco che la vostra attenzione sia tutta diretta sulla magia dei treni notturni, ma non vorreste per un attimo pensare alla carne?

-Alla carne?

-La carne di questa ragazza, la carne che stava per essere macellata. La carne la mangiamo tutti, ma qualcuno macella delle bestie per noi. Nessuno pensa mai all’animale quando si trova davanti una fetta di carne. L’animale è l’animale intero. Una fetta di carne è qualcosa che viene mangiato, cotto, preparato, condito. La fetta di carne vive nei suoi propri riti. Una sorta di funerale parcellare di una bestia intera, che vede alla fine reincarnarsi quel pezzo di carne dentro di noi, per buona parte del suo peso almeno.

-Capisco cosa vuole dire, ma non capisco il senso di parlarne adesso.

K. si sentiva minacciato da questo sedicente antropologo. Capiva che il senso del discorso di Guazzabugli era quantomeno simbolico e allegorico, ma non capiva cosa volesse dirgli. D’altro canto gli pareva di trovarsi in una situazione non dissimile da quella occorsa col lobbista delle canne.

-Cioè, che cazzo vuole dirmi in realtà?

-Potremmo paragonare la capacità di scrittura al lavoro di un sarto dedito al patchwork. Cucire con sole toppe. Toppe su toppe.

-Si vabbè, e poi?

-Il futuro è nella carne artificiale, realmente libera da un karma. Sai, in natura talvolta nascono animali acefali, andrebbero mantenuti e fatti riprodurre. Un animale acefalo non soffre, è privo di un sistema nervoso. Può produrre carne come un albero produce i frutti.

-Non sono sicuro che possano campare per propri casi.

-Detto ciò, si può comunque ricorrere a colture cellulari.

-Si, va bene, però che c’entra? Cosa ce ne frega in questo momento?

-È un settore nel quale vale la pena investire.

-Anni fa mi disse una cosa del genere un signore, su un intercity diurno. Vendeva impianti per energie alternative. Spingeva sul fotovoltaico, e non poco. Ma proponeva anche soluzioni decisamente curiose tipo una centrale a “tornado”, attraverso un sistema di cunicoli tipo termitaio.

-Io sto parlando di una cosa diversa.

-Infatti è stato un piacere.

K., Saragoza e la ragazza troncarono la discussione con l’uomo.

Il minestrone contiene un sacco di cose, ma proprio in ragione di ciò non può dirsi un piatto raffinato. Ovviamente c’è anche chi la pensa diversamente.

La ragazza chiese a K. che ruolo egli avesse sul treno.

-Non sono un pubblico ufficiale in senso stretto, o almeno non lo sono qui. Conosco più o meno il funzionamento di certe istituzioni e quindi posso all’occorrenza divenirne ingranaggio.

-Scusa?

-Sono pagato da Effesse per scrivere una sorta di reportage sui treni notturni.

-Ah, e come sta andando?

-Da quando ti abbiamo tirata fuori viva da sotto il treno penso che le cose abbiano fatto il giusto passo in avanti. Ora il tutto andrebbe condito con una speziatura emotiva agrodolce. Posso anche aggiungere dei dettagli inventati sulle ragioni del tuo gesto; posso dire che l’hai fatto per amore, per astio nei confronti dei tuoi genitori, per contrarietà rispetto alla tua realtà cittadina che ti considera una puttana solo perché hai baciato un ragazzo nella piazza del paese, etcetera.

-Io non voglio che scrivi di me.

-Questo è un altro discorso. Ovviamente inventerò un nome di fantasia, magari mutuato da una canzone degli anni novanta, tipo che ne so, Betty la Tossica.

-Ma ti pare il caso?

-Ricordati che sei viva per miracolo. Dovresti essere contenta del fatto che sia un esperto di treni notturni come me a celebrare narrativamente questo miracolo.

-Sei un presuntuoso.

Saragoza cercò di optare per la ramazza della diplomazia.

-Non ti preoccupare ragazza, non penso che le Ferrovie avrebbero piacere nel far diffondere uno scritto dove i treni vengono accostati al suicidio, a meno che non figuri tra i piani aziendali proprio la necessità di sopprimere quel tipo di servizio.

K. si mise una mano sul cuore pensando alla relativa opportunità di fare lo sciacallo. Pensò tuttavia che un nome di fantasia ed un contorno inventato sarebbero stati sufficienti a deresponsabilizzarlo su un piano etico, rispetto alla divulgazione dei fatti privati della ragazza.

-Cioè, tu parleresti dei cazzi miei in un reportage di merda su questi treni da fogna?

-Al posto tuo non parlerei così male del grosso pezzo di ferro che ti ha risparmiato la vita.

-Cosa?

-Tu non sei morta perché il treno ti ha risparmiato. È stato un miracolo. Qualunque spiegazione atta a spiegare questo fenomeno è più attendibile di un tuo ripensamento finale. Sei viva per un motivo. Sei viva perché il treno ti ha risparmiato. È mio compito parlare di questo gesto di misericordia, compiuto da un macchinario su un essere umano.

-Tu devi essere uno di quei preti impazziti.

-Sei libera di definirmi come ti pare. Ma un domani potrai vantarti di figurare come protagonista assoluta di un piccolo pamphlet.

Saragoza si intromise: -Ma da quello che mi avevi detto non è neppure certa la pubblicazione, giusto? Potrebbe essere un pamphlet a uso interno.

K. chinò lo sguardo in terra. Si ricordò del discorso fatto con il dirigente alla Stazione Termini.

-Una specie di indagine di mercato. Un sistema per avere soluzioni a riguardo della gestione dei treni. Questo purtroppo ha senso.

-Ma di cosa state parlando?

Chiese la ragazza.

-Senti ma tu come ti chiami?

-Eh…

La ragazza esitò. Stava certamente inventando un nome.

-Mi chiamo Ombrella.

K. e Saragoza le risero in faccia, ma non indagarono ulteriormente sul suo vero nome.

-Ora carissimi dobbiamo andare in fondo al treno, sapete, devo finire di controllare i biglietti. È là che capiremo di che pasta siamo fatti. Mi sento fortunato stanotte, sono sicuro che rimedierò meno di una coltellata.

-Mezza coltellata, che è meno di una coltellata, sembra comunque una rottura di scatole.

-Devi usare i sedili come scudi. È il vantaggio dei vagoni senza compartimenti.

I tre presero un ulteriore caffè ciascuno, e si divisero delle cioccolate.

Il Signore della carne in vitro tentò un nuovo approccio di vendita. Lo respinsero vigorosamente.

-Noi capiamo l’importanza della questione, ecologicamente ed eticamente importante, ma stasera siamo già impegnati con altre questioni.

Saragoza per tagliare corto contestò falsamente al signore che in precedenza lo aveva visto fumare. K. testimoniò a favore di Saragoza. Sotto la minaccia di una multa le sue smanie di vendita si infransero.

Mentre si incamminavano verso il fondo del treno K. chiese al capotreno se non avessero già superato la stazione dove avrebbe dovuto attenderli l’ambulanza.

-No, vabbè, ormai l’abbiamo superata.

-Scusa ma… e quelli dell’ambulanza?

-Non so se hanno parlato coi macchinisti, ma evidentemente avranno detto a quelli dell’ambulanza che si è trattato di uno sbaglio.

-Ma perché?

-La ragazza non sembra moribonda. Non dobbiamo preoccuparci.

-Ma che discorso è?

-Può stare con noi fino a fine-corsa del treno. Garantisco io per lei. Anche perché sono io che faccio le multe, no?

Saragoza spiegò alla ragazza la situazione, la quale era d’accordo.

-È normale che la ragazza sia d’accordo, diversamente verrebbe catturata e ricoverata.

-Ma la ragazza non è ferita.

-Intendevo ricoverata nella psichiatria.

-Ah, ecco. Sai, io non faccio il medico di lavoro, ma non mi sembra che sia pazza.

-Questa risposta mi sembra una citazione.

-No.

I tre proseguirono. In fin dei conti non sembrava pazza, non in senso stretto almeno.

-Il fondo del treno rappresenta il vero corpo del mostro di ferro, le sue interiora.

Disse K.

-E giustamente nelle interiora c’è la merda.

Risposte la ragazza. Poi lei e Saragoza si misero a ridere.

K. rispose: -Non siamo qui per sbeffeggiare la miseria ed il terrore notturno, siamo qui in quanto testimoni.

-Testimoni di cosa?

-Di un ecosistema sociale, dove la paura è la moneta che tiene insieme i rapporti tra avventori occasionali.

-Senti, è vero che ogni tanto capita gente di merda, ma alla fine non è davvero così pericoloso. Tu stai drammatizzando la cosa.

-Una lettura paranoica della vicenda rende il racconto vivo. Diversamente sarebbe solo una cronaca.

-Una cronaca?

-La componente di cronaca è lo scheletro di questo scritto. I fatti narrati devono essere per forza veri. Quello che si mette intorno tuttavia, il vestito, l’orpello, il trucco da puttana, i tatuaggi pieni di virus dell’epatite, tutto quello che è intorno, può essere inventato.

La ragazza si mise di mezzo: -Quindi è questo il tuo trucco. Cambi i nomi, aggiungi dei personaggi inventati che dicono cazzate, metti droga e pistole, e puoi raccontare i cazzi miei di come mi sono buttata sotto ad un treno.

-Hai capito bene.

-A me non sta bene. Finisce che ti denuncio.

-Abbiamo già parlato di questa cosa. Volevo solo specificarne alcune modalità del processo creativo.

-Ma a chi pensi che possa interessare una cosa del genere?

K. era interdetto. Non continuò il discorso.

Fra se e se si diceva che la ragazza era già abbastanza provata e che non valeva la pena di usare i giusti argomenti. Probabilmente era rimasto senza argomenti, o non poteva dedicare energie a quella minore battaglia campale. Bisognava andare del resto in fondo al treno.

Poco prima dell’ingresso del treno c’era un altro capotreno.

-Ma non c’è un solo capotreno per treno?

-Questo deve essere il capotreno del servizio diurno. Si deve essere addormentato.

Disse Saragoza.

L’altro capotreno era sulla sessantina andante.

Saragoza lo svegliò:

-Carissimo, ti sei addormentato sul treno. Ma che cavolo fai? Per fortuna che non ti sei addormentato nei vagoni senza compartimenti, sennò ti svegliavi con una barba disegnata con pennarelli e moccio del naso.

-Ah, mi sono addormentato davvero.

Il capotreno spiegò ai tre che assumeva delle gocce per l’ansia, a seguito di una sua precedente aggressione verbale subita in treno. Raccontò di come un giovane senza biglietto avesse arringato tutto il vagone contro di lui, cominciando a raccontare una storia inventata sul fatto che la moglie del capotreno medesimo fosse una donna dai costumi molto lascivi. Raccontò di essere stato sedotto dalla donna, come anche il lattaio del paese, tutti gli impiegati del catasto, il postino, e vari suoi compagni di scuola. La storia era raccontata con grande fervore e con dettagli ripetitivi, ma le persone su quel vagone preferirono credere a quella storia con cieca fedeltà, probabilmente in quanto rappresentante uno strumento di lotta contro le istituzioni, un cuneo inesorabile con cui schiacciare un rappresentante di uno Stato ormai vissuto come nemico. Il capotreno venne deriso da tutti, chiamato cornuto, mortificato. Il giovane riuscì a sparire in fondo al treno, ed evitò la multa. Da quel giorno, e per la grande umiliazione subita, quel capotreno assumeva gocce di coraggio per lenire la paura.

Saragoza lo incoraggiò: -Non ti preoccupare. Tu forniscimi una descrizione di quel ragazzo, e ti giuro su Dio che lo troveremo e gliela faremo pagare. Gli accenderemo una sigaretta in mano, davanti ad una donna incinta, e dovrà tirar fuori parecchi anni di paghetta.

Il capotreno parve rincuorato da Saragoza.

I tre proseguirono lasciando il collega di Saragoza a dormire.

Nel vagone comune la situazione sembrava tranquilla.

-Spesso è tutto tranquillo, soprattutto quando entra il controllore. L’autorevolezza di un controllore è simile a quella di un professore di educazione tecnica alle medie. Certo di quelli rigidi, non di quelli mollaccioni.

Il controllo dei biglietti proseguì in maniera abbastanza tranquilla.

Molti erano pendolari.

Un signore probabilmente peruviano, vestito bizzarramente con un pesante poncho, finse di dormire profondamente. Il capotreno lo scosse.

-Fanno i morti.

-Tanatosi.

Rispose K.

-Hai fatto le scuole alte, eh?

La ragazza disse al capotreno che stava scuotendo troppo forte l’uomo.

-Vedi, è il bello di quando uno fa il furbo. Io gli posso comunque rompere parecchio le scatole. E questo per me non ha alcun costo di biglietto, posso farlo gratis solo per il fatto di essere il capotreno.

-L’unico costo che devi eventualmente pagare è di dover sostenere qualche schiaffo.

-È un lavoro difficile, ed abbastanza sottopagato. Dovrebbero darci una percentuale sulle multe.

Il peruviano smise con la recita.

-Senti, va bene capo, non ho il biglietto. Facciamo ‘sta multa. A meno che tu non preferisca scambiare la multa con una bella storia.

-Una bella storia?

Saragoza si mise a ridere. Chiese al Peruviano di raccontare la storia, e disse che nel caso in cui gli fosse piaciuta non avrebbe fatto la multa.

Il peruviano rispose: -No, ci accordiamo prima. O la storia o la multa.

Il capotreno disse a K. che stava a lui decidere. Che voleva fargli provare il gusto di esercitare pietà o spietatezza.

-No, guarda, io sono d’accordo col capotreno. Tu ci racconti la storia, e se ci piace, niente multa. Se la storia fa cacare però capace che accendo una sigaretta e te la metto in mano.

Il peruviano si rassegnò e cominciò a raccontare la storia:

-Il famoso torero peruviano Pedro Gonzales…

Lo interruppero chiedendogli se in Perù si praticasse la corrida. Il peruviano spiegò che il torero in questione era un emigrato peruviano come lui, e che da bambini avevano frequentato la stessa scuola elementare.

-Il famoso torero Pedro Gonzales, nel più famoso incontro da lui disputato, affrontò il toro più grosso della Spagna, chiamato affettuosamente Sergente Garcia.

-Come il personaggio di Zorro?

Chiese la ragazza.

Il peruviano annui. K. chiese alla ragazza se nella sua generazione Zorro fosse ancora un personaggio popolare. La ragazza rispose che il padre dopo il licenziamento aveva cominciato a guardare repliche di Zorro, di tutte le varie serie esistenti, in maniera ossessiva.

Il peruviano ricominciò la storia.

-Quel toro era enorme. Una bestia d’altri tempi. Il torero era decisamente in difficoltà. Si giocò il tutto per tutto con una mossa inaspettata, degna di un cecchino, di un grande artista, nonché del miglior chirurgo veterinario del mondo.

I tre erano piuttosto interessati.

-Schivò un assalto del toro, e con un movimento dalla rapidità e dall’eleganza incredibili, chiamato in seguito mossa del vento tra le canne, riuscì usando le banderuole, ad estrarre un surrene del toro. Davanti alla folla, che non aveva ben compreso il gesto, masticò quell’organo e lo inghiotti, coprendosi la bocca di sangue. Dalla modesta ferita del toro sgorgava non poco sangue. Il torero aveva colpito gravemente il rene della bestia. Il duello continuò, ed il torero replicò la medesima mossa sull’altro lato dell’animale, cibandosi nuovamente della ghiandola. Da quel punto in poi schivò con sempre maggiore reattività, non contrattaccò più, se non colpendo quando ne aveva la possibilità, esclusivamente i reni. Il toro alla fine cascò in terra dissanguato. Il torero si accasciò sull’animale, e morì anche lui. Rimase avvelenato dagli ormoni del toro contenuti in quelle ghiandole.

I tre si complimentarono col peruviano e gli strinsero la mano.

K. disse: -La storia è molto interessante, benché certamente inventata. Ma proprio per il fatto che è inventata, probabilmente sul momento, mi complimento per la sua capacità di inventare fatti.

Il peruviano sorrise commosso, per l’apprezzamento dei tre, che subito dopo ripresero il loro percorso lungo il treno.

Ai pendolari divorziati precari trovati senza biglietto si fece uno sconto di routine. L’azienda non avrebbe gradito, ma Saragoza diceva che tale condotta rappresentava una lotta alla povertà, pur se portata avanti con metodi certamente eterodossi.

Una suora venne beccata mentre fumava da una grossa sigaretta elettronica. Ci tenne a specificare che le sigarette elettroniche facevano meno male di quelle normali, ma che si fumava in maniera maggiore, per via del minor contenuto di nicotina.

Venne risparmiata anche lei.

Altri giovani, giovanissimi, dediti all’esperienza del treno come luogo di sballo, sbavavano impasticcati, dissetandosi con bottiglie di birra ormai calda. Non erano molto diversi dai tossici più abbienti trovati negli scomparimenti, ma erano decisamente più pugnaci ed indifferenti all’autorità.

Non avevano il biglietto. Dissero sbeffeggianti che non volevano pagare, e che avrebbero fatto a botte senza paura. Saragoza si allontanò ed avvertì la polizia ferroviaria. Sarebbero saliti a bordo alla successiva stazione. Conveniva tenere basso il bollettino di guerra.

Arrivarono infine sul fondo dell’ultima carrozza. Un uomo era sdraiato coi piedi sul tavolino dei posti a quattro. Indossava una giacca di velluto, ed un cappello da cowboy moderno, stretto sui lati.

Saragoza chiese il biglietto.

-Vedi- rispose l’uomo. -Viviamo in un mondo dove i ruoli di ciascuno si fanno complessi. Ciascuno vuole essere il contrario di quello che è. I preti vogliono sembrare dei drogati, ed i drogati dei preti. I poliziotti vogliono sembrare dei delinquenti, e i delinquenti degli agenti immobiliari. Quanto agli agenti immobiliari, beh, quelli sono comunque dei mezzi delinquenti. Voi controllori, da canto vostro, ci mettete poco a sentirvi dei padreterni per le briciole di autorità che avete. Io invece sto qua. Non ho il biglietto, e di sicuro non ho voglia di pagarlo e non debbo, per il ruolo che ho, pagare alcuna multa. Però, a differenza di altri, io ho titolo per stare qui, e vi sconsiglierei di rompermi troppo il cazzo.

Saragoza urtato dal machismo del cowboy si fece severo:

-Se non hai il biglietto, paghi la multa, mi dispiace.

L’uomo estrasse un coltello a scatto, e ne tirò fuori la lama.

-Mi sa che non mi sono spiegato.

Saragoza poteva andarsene e affidarsi alla polizia ferroviaria, invece fece della questione una stupida battaglia personale.

-Forse non ci siamo capiti…

-L’unico che qua non ha capito le cose sei tu, pagliaccio. Se non te ne vai mi incazzo.

Il cowboy fece roteare il coltello, lo lanciò in aria e lo riprese, per dimostrare ai tre con che maestria fosse in grado di utilizzarlo.

K. tentò una inutile via diplomatica, giusto per aumentare le possibilità di far usare il coltello al tizio vestito da vaccaro.

-Senta, lei dice di avere titolo per stare qui. Nello specifico, di che titolo parla?

L’uomo cominciò a ridere in maniera vivace. Chiuse il coltello e lo ripose nella giacca. Frugò nella giacca. K. pensò che magari il signore aveva deciso di cambiare arma, e di optare per una più appariscente e fragorosa rivoltella che ben si confaceva al suo ridicolo abbigliamento.

L’uomo tirò fuori la sua carta di libera circolazione. Era un ferroviere andato in pensione in anticipo, pare per motivi di salute, che potevano facilmente essere indovinati.

I tre capirono a scaglioni la situazione, tirarono un sospiro di sollievo e si fecero una risata con l’uomo.

Infine K. chiese aiuto al cowboy per spaventare i ragazzi che si stavano drogando nella precedente carrozza.

L’uomo si recò dai ragazzi con i tre.

Cercò di essere il più garbato possibile; dopo aver tirato fuori il coltello disse:

-Nei treni notturni ciascuno ha il proprio ruolo. Ci sono i leoni, le iene, gli sciacalli come voi, e poi tanti altri animali. Il capotreno qui non è tipo da mettere le mani in faccia a dei ragazzini maleducati, io invece sono la persona giusta per questo ruolo. A questo punto io vi lascio due scelte, o mi consegnate tutta la droga che avete, oppure, se proprio ci tenere ad usarla, ve la mangiate ora tutta insieme, con tutti i rischi che la cosa comporta. Potete anche decidere di non fare nessuna delle due cose, però io a quel punto credo che probabilmente dovrò ammazzarvi.

La ragazza sembrava turbata. Saragoza era spaventato. K. non riusciva a trattenere le risate.

I ragazzi assunsero tutte le pastiglie che avevano.

Il cowboy disse che erano dei morti di fame, che avrebbero pagato con la sofferenza la loro avidità. Alla successiva stazione la polizia ferroviaria si trovò costretta a chiamare un paio di ambulanze.

Ad accompagnare il termine del viaggio ci pensó l’alba, che in qualche modo trasformò l’Intercity Notte in un normale Intercity. Il padre di K. una volta gli aveva detto che la linea Adriatica era stata costruita da Mussolini come linea panoramica; permetteva di godere della vista di buona parte delle spiagge italiane. Nei treni notturni, tuttavia, salvo lune piene, si perdeva tale bel vantaggio, ma ciò che si perdeva in paesaggi lo si guadagnava in avventure ed in docce di umanità (cit.). La luce di quell’alba, che disegnava spiagge da un lato e timidi profili collinari dall’altro lato sembrava il risveglio da un incubo, in cui si riesce malgrado tutto ad essere a proprio agio, dopo un doveroso rodaggio. Per Saragoza che ci lavorava sui notturni era la normalità, per K. e Ombrella che in quella situazione c’erano arrivati per vie trasverse era poco più di una sbandata in un percorso di vita tutt sommato abbastanza rettilineo. I tre erano concordi sul fatto che non avrebbe avuto senso mantenersi in contatto alla fine di quel viaggio poiché sarebbe stato meglio legare il ricordo degli altri a quello specifico evento. Il viaggio termino in maniera tranquilla, e verso le otto del mattino il treno arrivò all’estremo sud-est d’Italia. La ragazza disse che voleva proseguire le sue vacanze lì in Puglia, anche se era senza soldi e con pochi vestiti, e soprattutto anche se quel viaggio non era cominciato come una vacanza.

Gli salutò dicendo: -Ci rivediamo su “Chi l’ha visto”.

Saragoza andò a dormire in albergo, in attesa del treno serale.

K. decise che aveva sufficiente materiale per la stesura del pamphlet, e che non si rendeva necessario un adattamento seriale della cosa con ulteriori viaggi. Se non altro era contento di essere riuscito a tenersi vicino al cuore quei ricordi da tardoadolescente.

Infine inviò il pamphlet.

L’azienda rispose dopo una settimana.

-Salve Signor K. Abbiamo letto il documento da lei prodotto, e non lo riteniamo adatto ad alcun tipo di pubblicazione, in ragione dell’immagine che viene restituita dell’azienda, come di un’azienda i cui dipendenti sono soliti agire con enorme grado di arbitrarietà, applicando favoritismi verso certe aree di clientela, ed attuando invece invece condotte sadiche e poliziesche nei confronti di altri viaggiatori. Viene inoltre restituita un’idea dei treni notturni, come di luoghi dove si concentra il peggio della marginalità e della criminalità della penisola, dipingendoli come dei servizi dove non esiste alcun tipo di sicurezza. Delle zone franche semoventi in sunto. Tuttavia l’uso finale della pubblicazione in oggetto era il solo uso interno, attraverso la produzione di opere di auto-propaganda interna, al fine di celebrare il servizio Intercity Notte, che risulta essere in via di smantellamento. In caso di cambio destinazione dell’opera di cui deteniamo i diritti parziali, ci accorderemo con lei per l’eventuale corrispondenza di royalties, in virtù del fatto che oramai fanno delle serie tv o dei mediometraggi per ogni cazzata.

K. si vide comunque recapitare a casa la sua carta di libera circolazione definitiva. Non gli venne corrisposto nessun altro compenso, a dispetto di quanto originariamente concordato.

Finalmente poteva prendere i treni gratis e scordarsi di aver superato i venticinque anni.