Non proprio buoni.

Il soggetto dello sceneggiato era stato respinto, in ragione della sua scorrettezza politica.

L’argomento era un tabù inaffrontabile, inerente la malattia e la diversità, affrontato da un punto di vista, peraltro, totalmente sbagliato o al più stupidamente provocatorio.

Lo sceneggiatore assumeva la sindrome di Down come una sorta di sottocultura identitariamente forte, e lo faceva raccontando la storia di una baby gang di down emancipati, che si organizzavano per seminare il terrore nel loro quartiere.

Denominati nel quartiere come i buoni a nulla, o i poco di buono, preferivano definirsi come il gruppo dei “non proprio buoni”, epiteto che costituiva anche il nome provvisorio del soggetto della serie.

L’autore di questo soggetto, tale Capitetti, ingegnere di una ingegneria minore, aveva difeso così il suo sceneggiato davanti al direttore di rete:

-Basta con queste serie tv buoniste, dove dei down viene narrato solo il buonismo, la semplicità e l’essere naive. Io penso che il pubblico italiano sia finalmente pronto a vedere i down da una prospettiva a 360 gradi. Una serie del genere potrebbe essere universale, e racconterebbe la diversità al di fuori di un’ottica paternalistica e confortevole, parlerebbe piuttosto di una diversità vissuta in maniera attiva e difensiva. Basta con questa storia dei down vittime di bullismo, il pubblico ha bisogno di una nuova visione dei down, magari proprio nel ruolo di bulli di quartiere. Il pubblico forse è pronto per vedere dei down chiaroscurati, in cui non è scontato che abbiano bisogno di essere difesi dal catechista di turno, o dal mezzo comunista con la maglia della Bandabardò.

-Io spero che lei si renda conto del guaio in cui si sta cacciando ed in cui ci vorrebbe cacciare, e soprattutto del fatto che diventa sempre più evidente la sua completa perdita di senno.

-Lei non capisce, questa serie potrebbe essere diversa da tutte le altre che si vedono nella televisione italiana. Porterebbe un racconto più simile a quello che avviene in America, dove le minoranze sono viste al di fuori di un’ottica compassionevole…

-Ma non si tratta di una minoranza, si tratta di una malattia. Lo vuole capire? Cosa vuole fare? Alimentare un’ondata di intolleranza verso persone malate? Accumulare strati di denunce delle associazioni di genitori con figli down? Vuole fare cadere il governo alzando questo polverone? Si rende conto che è un progetto che non ha senso?

-Senta, ma se io invece trasformassi questi down in dei cingalesi?

-Già molto meglio, ma bisognerebbe aspettare il cambio di governo, anche solo prima di pensare di poterla produrre.

Capitetti se ne andò a casa sconsolato e sconfitto.

Erano ormai alcuni anni che la rete pubblica non produceva alcun suo progetto. Tuttavia gli erano state corrisposte delle somme minime, rispetto alla scrittura di alcuni noiosi sceneggiati simil-sitcom: la Famiglia Ruzzoni, i coniugi Smeg, La famiglia Rusticazzi; quasi sempre sitcom a tema coniugale, più basate sulla bizzarria insulsa dei personaggi, che non sui classici equivoci all’italiana, copie di copie di spazzatura televisiva degli anni ottanta-novanta. Alcune delle idee di quei soggetti erano state cannibalizzate ed inserite forzatamente in altre sitcom o fiction poi andate effettivamente in onda.

Capitetti era certo del fatto che la sua verve creativa era ormai un pozzo esaurito, collocato in un’area già di per sè siccitosa, ma pensava che quell’idea potesse essere l’unica cosa che gli restava da dire. Credeva davvero nel progetto, aldilà dell’eventuale ritorno economico.

Pensava d’altronde che questo singolo soggetto, anche senza venire davvero poi tradotto in uno sceneggiato, potesse, in virtù del valore eversivo del suo elemento di novità, riabilitarlo al ruolo di sceneggiatore di un certo livello (o “of a certain level” come amava dire lui). Alla fine ciò a cui anelava era solo un minimo di riconoscimento.

Mise un paio di moke sul fuoco, una piccola ed una media, non appena arrivato a casa; le versò in un tazzone ed aggiunse abbondante zucchero ed un paio di cucchiai grandi di olio d’oliva. Quella bevanda per Capitetti era una sorta di pozione, adatta ad attraversare la notte in cui avrebbe scritto quello che per lui era il soggetto perfetto, raffinando al massimo la bozza di quanto avesse fino a quel punto prodotto. In caso di rifiuto della rete avrebbe provato a girarlo ad altri produttori, o addirittura al circuito indipendente, nella speranza di poter vedere la sua creazione prendere vita con attori e scenografie. Per un uomo solo e volontariamente isolato, quel tipo di propulsione creativa poteva rappresentare un motivo sufficiente per continuare a respirare.

La città in cui si svolgeva il racconto non era specificata, sarebbe stata adattabile alle esigenze di budget o dei finanziatori. L’idea però era che si potesse trattare di una città di media dimensione affacciata sul mare, tipo Barletta, Ancona, Pescara, Livorno, Rimini, Amalfi, Catanzaro.

I ragazzi della baby gang si erano conosciuti in una classe speciale durante le scuole medie; avevano stabilito un forte legame. Alcuni di loro avevano una forte identità ed un ruolo specifico all’interno del gruppo, altri erano comparse atte a riempire l’inquadratura ed a restituire l’idea di un gruppo variegato, seppur non ben definito. Si chiamavano tra di loro non con i propri nomi di battesimo, ma con dei soprannomi, ora di animale, ora di calciatori del passato, ora di grandi brand.

Il capo del gruppo si chiamava Marlboro, proprio come la nota marca di sigarette. Da bambino era stato un appassionato di Formula 1, ma aveva trovato il suo mito nelle videocassette registrate dal padre nel periodo Schumacher. Non seguiva i gran premi attuali, ma rivedeva in VHS quelli del periodo 1996-2004. Durante il periodo delle scuole medie aveva difeso spesso i suoi compagni della classe speciale dal bullismo dei ragazzi “cosiddetti normali”, analfabeti di periferia con il culto della violenza ludica. Inizialmente lui ed il suo gruppo avevano preso non poche sberle e subito varie umiliazioni, ma col tempo si erano fatti cocciuti e duri, guidati da un leader coraggioso. La caratteristica che saltava all’occhio vedendo Marlboro sarebbe dovuta essere il suo grosso collo da torello, inserito nel contesto di una fisicità molto compatta, che gli permetteva di atterrare facilmente i suoi avversari, per poi demolirli a forza di cazzotti sul muso. Aveva un naturale carisma da capo, era bonario con i suoi sottoposti, ma coraggioso e spietato verso i loro nemici. Le compagnie rivali erano composte di giovani randagi, avvezzi all’uso di sostanze ricreative ed alla smargiasseria, facili alle rapine ed alle piccole ruberie, in un contesto in cui la polizia da una parte era impegnata con rogne maggiori, e dall’altra ignorava questo sottobosco di antisocialità adolescenziale, partendo dall’assunto che tanto si sarebbero ammazzati tra di loro prima di raggiungere la maggiore età.

Il secondo in capo si faceva chiamare Asso, anche se non era infrequente che gli altri del gruppo lo chiamassero Gradasso, in virtù del suo volersi continuamente autoincensare. Amava truccarsi e gli piacevano parecchio i coltelli. Non fumava sigarette ma masticava in continuazione gomme alla nicotina rubate alle madre. Era scontroso ma amava molto i cani, e soprattutto il suo di cane, Confetto, un Pitbull fuori taglia di cinquanta chili, che tornava spesso utile nella competizione con le altre bande locali. Non c’era storia né per i dobermann che per i pastori tedeschi.

Le uniche due ragazze del gruppo, Orchidea e Cacofonica, avevano un ruolo relativamente dimesso rispetto al resto del gruppo. Erano innamorate dei capetti, in via alternata a seconda del momento. A differenza dei maschi avevano minore necessità di pavoneggiarsi con atti violenti, e fornivano più che altro supporto ai maschi con vari complimenti, come avrebbero fatto delle loro coetanee di un paio di decenni prima. Risultavano abbastanza “anni novanta” anche nelle scelte d’abbigliamento. Probabilmente Capitetti aveva qualche problema a caratterizzare i personaggi femminili, ma spiegava questa cosa a se stesso come un non voler perdere tempo nelle sottotrame amorose, che avrebbero finito con l’enfatizzare troppo le vulnerabilità emotive dei personaggi.

Gli altri membri della banda erano caratterizzati comunque con pennellate comprese tra il vago e lo stereotipato. Sostanzialmente le loro unicità erano costituite da un problema familiare specifico, quale un genitore alcolista, o litigi in casa, o ancora problemi di soldi.

I nomi erano Batistuta, Falco, Arancione, Siringa, Skeggia, Atomico, Cartavetro, Picchio, Spadafora, FocaMonaca, FocaLeopardo, Blu-Betoniera. A questi si aggiungeva Il Danese, anche detto il deputato, che voleva rappresentare invece l’anima intellettuale e riflessiva del gruppo, molto più colto degli altri ragazzi, forniva spesso loro spunti di riflessione, ma spesso veniva ostracizzato in quanto troppo tollerante. Indossava degli occhiali da vista tondi, e gilet colorati. Il suo ruolo era pretestuoso, si prestava semplicemente a fare da contraltare riflessivo rispetto alle decisioni impulsive e machiste di Marlboro. Sarebbe poi toccato al lavoro di sceneggiatura decidere se i due avrebbero trovato una sintesi rispetto alle loro istanze, o se il danese sarebbe stato invece preso a calci in culo come il famoso “Quattrocchi” dei puffi, o come un Trotzky qualsiasi.

La trama generale della serie si apriva come una specie di lento romanzo di formazione, in cui i personaggi partivano come induriti dalle circostanze, ed usavano il gruppo per sentirsi parte di qualcosa, e la violenza come strumento di emancipazione dalla condizione di malattia; attraverso di essa, inizialmente, si allontanavano da quello che era il ruolo di passività che la società gli aveva rigidamente imposto, scegliendo piuttosto di diventare un problema sociale; tuttavia si distinguevano dalle altre bande giovanili per l’avere un fondo etico (era indispensabile che ci fosse una qualche forma di messaggio positivo per poter anche solo pensare ad un passaggio sulla televisione pubblica). Accanto ad una scazzottata coi ragazzi naziskin (razzisti), trovava ad esempio spazio il salvataggio di un gattino, o il furto di qualche cartone di tavernello per il barbone Ruspa, alcolista che spesso consigliava i ragazzi sulle scelte di vita più delicate.

Accanto ad una narrazione più convenzionale che vedeva gradualmente i ragazzi emanciparsi dal bisogno di violenza per tracciare i confini della propria identità, avvicinandosi gradualmente al mondo del volontariato, partiva però una linea narrativa collaterale, che avrebbe poi preso il sopravvento con forza.

Marlboro, il già citato leader del gruppo, all’interno di un percorso volto ad aumentare la propria consapevolezza attraverso lo studio effettuato su internet, aveva trovato uno strambo racconto che parlava della delicata situazione del “popolo trisomico”. Tale racconto, dai tratti sia sarcastici che francamente eversivi, rappresentava una sorta di guida per l’organizzazione di una rivoluzione; parlava di un leader del popolo dei down, il cosiddetto uber-down, una sorta di messia che avrebbe salvato i down dalle catene del pietismo che li attanagliavano. L’uberdown veniva descritto come affetto dalla patologia, ma era dotato al contempo di una intelligenza fulminante e soprattutto della capacità di riunire il suo popolo sotto un’unica bandiera. La bandiera in questione presentava un blasone costituito da tre carte da poker la cui somma era 21. Il suo scopo ultimo sarebbe dovuto essere quello di guidare il suo popolo nella terra promessa, un’isola italiana non meglio specificata, da conquistare col terrore e con la violenza, e dove dar vita ad una comunità agricola indipendente, governata attraverso una monarchia assoluta illuminata.

“È chiaro come il sole che quella che viene definita dalla medicina come una malattia, rappresenti invece un tentativo dell’evoluzione di produrre una nuova specie, l’Homo sapiens bonus. Noi trisomici siamo stati incatenati per troppo tempo da una diagnosi medica, che ci nega lo status di nuova specie. I nostri diritti vengono continuamente violati, insieme alle nostre libertà, additandoci come malati, insufficienti, inabili, handicappati o semplicemente ritardati. Noi ci ribelliamo a questo stato di definizione, e dichiariamo il bisogno di una nostra patria, che noi appartenenti a questa nuova specie chiameremo casa. Aneliamo ad un luogo dove vivere in pace ed in armonia, al riparo dallo sguardo tagliente dei cosiddetti normali, e dalla loro melliflua gentilezza, che cela il più meschino dei disprezzi, quello per ciò che si considera alieno. La vostra tolleranza è disgustosa, noi avremo una nostra nazione, e la conquisteremo guidati dal migliore di noi, un re, un despota, saggio e gentile, coraggioso ma terribile, l’Uber-Down!”

Marlboro ci avrebbe messo poco a capire di essere lui il prescelto. Lui che aveva guidato i suoi amici in quel percorso di emancipazione, avrebbe guidato il suo intero popolo.

La parte finale di questa ipotetica serie tv doveva finire con Marlboro che allontanava gli altri ragazzi del gruppo dalla deriva istituzionale e dal progressivo assorbimento nel mondo del volontariato; al contrario fondava una rete dei ragazzi down su internet, con un programma ben preciso, quello di raggiungere in massa l’isola d’Elba in traghetto. Lì arrivati, armati fino ai denti, avrebbero dovuto scacciare la popolazione locale con le maniere forti e conquistare l’Isola. La prima stagione sarebbe dovuta finire con i ragazzi della crew “Non proprio buoni” che si trovavano a Piombino, finalmente insieme ai ragazzi down provenienti dalle varie realtà italiane, raccattati su internet.

L’ultima inquadratura dell’ultimo episodio sarebbe dovuta essere quella dei ragazzi sul ponte del traghetto, che accarezzavano ciascuno la propria arma, pronti a sbarcare sull’Elba per seminare il terrore e per riprendersi finalmente ciò che era sempre stato loro.

A contorno del nutrito gruppo di ragazzi vi erano i commenti dei turisti diretti all’Elba:

-Ma guarda che carini, così autonomi. Senza accompagnatori poi, sono proprio bravi.

Alla fine della nottata Capitetti, posto l’ultimo punto al suo soggetto, poté finalmente raggiungere il cesso, dopo i numerosi solleciti prodotti dal caffè all’olio.