Una cinesata.

L’apocalisse è quello che c’è già. (Cit. GLF)

Quattro settimane prima della quarantena
-Ma quindi hai paura di questa “apocalisse zombie” che arriva dalla Cina?
-Mah, boh. Quello che ho trovato in letteratura, che poi sarebbero una decina di articoli cinesi, fa passare la cosa come un’influenza, al massimo un po’ più aggressiva.
-Solita roba che uccide quasi esclusivamente anziani e defedati. Anche gli articoli che ho trovato io parlavano un po’ di diffusione e di qualcosa sui sintomi.
-Certo che questi si mangiano di tutto.
-Veramente.
-Alla fine Dio difende i suoi animali più pregiati coi virus migliori, i chirotteri in primis.
-Immagino che questo valga anche per i paesi senza Dio.
-Vabbè, ora non mi ricordo bene loro in che cosa credono, però il comunismo aveva fatto tipo tabula rasa, no?
-Sì, ma chiamalo comunismo…

Alla prima settimana di quarantena.
-I morti italiani sono troppi, non solo rispetto alla Corea, ma pure rispetto alla Cina ed al resto d’Europa. Non si capisce.
-Il contagio è più esteso di quello che dicono. I tamponi sono razionati. C’è tipo un Bias di selezione. È pieno di asintomatici e paucisintomatici contagiosi. Quanto alla Cina poi, si potrebbe dire che stanno facendo i coreani, del Nord.
-È una affermazione alquanto razzista.
-Sì. E forse non si capisce bene che cosa voglio dire.
-Spiegati.
-Sono furbetti, non vogliono fare la figura di merda. Il fatto che l’Europa sia stata lenta a reagire dipende anche da loro.
-Hai deciso di tornare al complottismo dei diciotto anni?
-No, macchè. É solo una di quelle situazioni in cui uno non vuole fare figure di merda e lava i panni sporchi in casa.
-Però?
-Però magari ci hanno capitalizzato sopra, secondariamente. Comunque è gente a cui piacciono i soldi, insomma è chiaro che gli piacciono.
-Cosa?
-I soldi, i soldi. Hanno protetto il mercato, hanno salvato la faccia facendo sembrare di aver controllato il contagio, ed adesso noi Italiani, che restituiamo dei dati epidemiologici tutto sommato veritieri, figuriamo come i classici italiani delle barzellette. Mezze seghe, faciloni, impiastri, alla faccia del miglior Sistema Sanitario Nazionale del mondo, universale, et cetera. A differenza delle barzellette però la prendiamo in quel posto.
-Vabbè, comunque tutte le spiegazioni ormai sembra che valgano poco. Quindi sono tutte ugualmente valide.
-È vero.
-Ma quindi a quanti siamo?
-Trentamila contagi dicono i siti, però c’è quella questione delle morti, no?
-Ah, già. Tremila morti. Quanto dovevamo fare? Era per trenta o per cento?
-Dipende dalla mortalità. Se è davvero l’1%, e da noi non stanno morendo più che altrove, potremmo comunque essere sopra i centomila.
-Comunque come la fai fai, sei complottista in un contesto del genere. La realtà non quadra. Sia negando i dati che puntando il dito. È impossibile non puntare il dito poi. Anche correggendo per il fatto che siamo una nazione di anziani, che la Lombardia è inquinata, che c’è un sacco di mobilità di pendolari interna alla regione, che la gente si ammazza di aperitivi, che la dieta vegetariana rende molliccio il sistema immunitario, e tutto il resto, comunque abbiamo troppi morti.
-I corsi e i ricorsi storici. Prima o poi doveva capitare una cosa del genere.
-Stasera comunque sono andato a correre, non c’era un cazzo di nessuno.
-Come? Sei uscito?
-Eh sì. Per fare attività fisica.
-Andiamo bene.

Alla seconda settimana di quarantena.
Le forze di polizia proprio non ce la facevano a far rispettare il decreto pedissequamente a tutti. Malgrado fioccassero le denunce e addirittura i senza fissa dimora non si facessero trovare in giro alla luce del sole esisteva una certa fetta della popolazione completamente refrattaria alla misura di contenimento intrapresa: gli anziani.
La gente sotto i settanta anni si era rassegnata addirittura a fare cacare i cani in casa. Lo sballo della quarantena, del cucinare in continuazione, di ammazzarsi di porno o di passare le giornate a letto col proprio partner, ancora rendeva possibile il confino domestico. I continui messaggi sui social, i film in streaming, i gruppi uozzap dove non si parlava altro che della cazzo di epidemia e dei dolci. I vari livelli di complottismo stratificati, che ormai venivano snobbati addirittura dal partito populista stesso. La sfiducia dei mercati, l’orizzonte cupo della povertà, della disoccupazione, della decrescita rapida. Il vecchio terzo mondo, ormai emancipato, che ci “terzomondizzava”.
Non c’era forza che potesse però tenere gli anziani in casa. La loro forza era il non rendersi conto. Una totale mancanza di contatto con la realtà, e nessuna paura. Uno dei paesi con l’età media più alta, che vedeva in questi grigi controlla-cantieri schiantarsi contro il nemico invisibile, come i lemming che si lanciano giù dalle scogliere, come gli amanti della roulette russa.
Andare in giro, stare sulle panchine, dire stronzate, ammassarsi nei supermercati, ammazzarsi nei supermercati, intasare le terapie intensive, guardare in faccia la morte con gli occhi vitrei di chi davvero proprio non se ne riesce a fottere un cazzo. Morire da soli, rendendosi conto vagamente di quello che stava succedendo solo negli ultimi due o tre giorni di vita, comunque storditi dalla mancanza di ossigeno.
I poliziotti non avevano il coraggio. Gente che avrebbe fatto ingoiare i denti ad un adolescente per una canna, sentiva tuttavia il cuore ammorbidirsi davanti a quelli anziani, gli stessi che qualche settimana prima si sarebbero consumati i neuroni davanti alla solita routine di Forum al mattino e programmi per lobotomizzati e casalinghe del pomeriggio. Da una parte inermi, e dall’altra però rigidi a sufficienza da non voler cambiare nessuna loro abitudine. Pronti ad affrontare il treno che gli si stava schiantando addosso col sorriso sulle labbra, senza nessuna paura, senza nessuna coscienza. Un esercito di zombie che avevano vissuto abbastanza, e che non accettavano quel cambio di stile di vita imposto dall’alto. Non tanto per una ribellione sostenuta da motivi ideologici, ma proprio perché non era per loro, non ce la facevano. Non si univano ai cori dai balconi, non gli bastava, non era per loro. Quel minimo di socialità fossilizzata che avevano se la tenevano stretta, per quanto non valesse nulla, e per quanto fosse davvero limitata alle chiacchiere da panchina o da alimentari.

Mentre anche le voci negazioniste si appiattivano schiacciate dalla montagna di morti che andava innalzandosi, loro, gli anziani, riuscivano comunque a non vedere quello che stava succedendo. Il piano di contenimento andò a puttane per colpa loro.

Alla terza settimana di quarantena

-Senti ma stai mangiando?
-Certo.
-E cosa?
-Dipende. O amatriciana, o pasta con sugo di tonno, o ragù al gusto nafta.
-Cosa?
-È quello già pronto, ha l’odore del gasolio. Se puzza di gasolio è evidente che almeno un po’ di gasolio dentro ci deve essere. È comunque buono per vivacizzare una caldaia letargica, o se ti si ferma la macchina. L’ho preso sia al gusto contadino che montanaro. Però sta finendo.
-Ma che dici?
-Dai mamma, non rompere le scatole, non faccio la spesa da dieci giorni.
-Ma non dicevi che prende solo gli anziani sta malattia?
-Eh, appunto, alla Coop ci sono solo anziani. E sono bombe settiche.
-In che senso?
-Escono solo loro, e stanno sempre in giro, e gli sbirri non fanno un cazzo. È come cercare di non farsi pungere dalle vespe mentre si usano i vespai come sacchi da boxe, secondo te è possibile? Senza protezioni intendo, senza tute da apicoltore o altro.
-Ma che dici?
-Io non ci posso fare niente.
-Ma che cosa dovresti fare?
-Niente, appunto, sto tirando avanti con le provviste che ho fatto. Che poi non è neanche così male, ormai riesco a fare una pasta decente sotto i dodici minuti.
-Ma se la pasta ci mette dieci minuti almeno per cuocere, e poi devi far bollire l’acqua prima.
-Sì, ma ormai uso direttamente l’acqua calda della caldaia, per fare prima.
-Ma perché devi fare prima? Hai un sacco di tempo libero in casa.
-Sì, ma nel tempo libero faccio altro.
-Tipo?
-Ma tipo gioco alla playstation.
-Ma hai intenzione di tornare a casa, di scendere?
-Penso che sia illegale in questo momento, e comunque potrei avere il virus anche io e non stare facendo sintomi. Preferirei evitare di sterminare mezza famiglia solo perché non mi va di cucinare.
-Ah…
-Vabbè, cercate di non uscire di casa, e non fate uscire neanche la badante. Ah, ma il gatto alla fine ha cacato?

Alla quarta settimana di quarantena.
Il contagio si era largamente diffuso anche aldilà del Nord Italia all’interno della penisola. I numeri facevano paura. Il parlare dell’epidemia però era diventato più palloso dell’epidemia stessa.
La questione pensioni si sarebbe potuta dire cinicamente risolta, ma era comunque subordinata alla sopravvivenza di un sistema economico dietro e di uno Stato, però. Il resto d’Europa non era stato risparmiato, ma se la passavano comunque meglio di noi. Le direttive nazionali erano di tacere i dilaganti casi di violenza domestica, anche gravi, normale effetto collaterale di una quarantena forzata. Non aveva più senso parlare di violenza sulle donne, il problema era un altro, e bisognava parlarne continuamente, come se a forza di parlarne alla fine il virus, stremato dalle chiacchiere, avrebbe potuto valutare la possibilità di andarsene un attimo affanculo.
A me non cambiava poi così tanto. Avevo rinunciato da un po’ alla mondanità, ed in qualche modo l’epidemia mi aveva tolto dall’imbarazzo del dover uscire di casa. I passatempi autistici mi tenevano impegnato, ma non sarebbe durata all’infinito, la primavera che cominciava a fare capolino mi avrebbe fatto impazzire, obbligandomi ad uscire dal mezzo letargo. Gli anziani tuttavia nel nostro paese erano diventati una specie in via di estinzione, e anche molti dei cosiddetti guariti delle prime settimane si erano riammalati. Si faceva un gran parlare del fatto che non ci fosse immunizzazione nei confronti di questo virus, e che potesse mutare e diventare più aggressivo. Non erano mancate le morti in fasce di popolazione sotto i sessant’anni, ed anche qualcuna tra i giovani. Tuttavia non era un’ecatombe, ma c’era il rischio che accadesse. Io personalmente non avevo paura del virus in sé, smettendo di fumare avevo cessato di ammalarmi di malattie respiratorie. Sembravo messo male, ma avevo delle analisi del sangue degne di una cornice in salotto.
Il danno per le aziende era enorme. I commercianti però si sentivano sollevati per il fatto che non ci fossero state interruzioni nella fornitura del metano, cosicchè la canna del gas potesse rimanere tra le opzioni.
Grazie alla droga di stato di questo momento storico, i social, ed in generale ad internet, la gente comunque riusciva a stare placata. Bisognava solo evitare la mole di informazioni e di messaggi inutili, quelli apocalittici, e quelli di speranza, la megalomania, le ultime fronde complottiste ancora rimaste, l’italiano stentato, la sintassi discutibile, quelli che avevano capito tutto, il fascismo di chi si fiondava su quanti non rispettavano la quarantena solo per poter aggredire qualcuno, e tutto il resto che di brutto c’era in quell’umanità compressa.
Capitavano tuttavia repentini cali di banda sulle connessioni. I film si bloccavano spesso sul più bello, la qualità diminuiva, comparivano pixel grossi come piastrelle del bagno. I giochi online laggavano. Scricchiolava, ma tutto sommato ancora reggeva.

Alla sesta settimana di quarantena.

Internet andò a puttane. Non in toto ma divenne pressoché inutilizzabile. Le linee fisse morirono all’improvviso su quasi tutto il territorio, quella mobile divenne congesta e rallentò poiché sovraccarica.
Il sistema non resse più, manco per il cazzo.
Quello scarico schifoso che assorbiva le frustrazioni e restituiva una distorta idea di vicinanza saltò, e lo stato di arresto domiciliare collettivo divenne istantaneamente insostenibile. A che pro cucinare se nessuno si poteva complimentare per tutte quelle torte e quelle paste al forno? Dove erano finite le altre persone con cui parlare e lamentarsi dell’epidemia?
Da un giorno all’altro, successe. La gente cominciò a scendere in strada, i freni inibitori saltarono, la pantomima dell’essere civili finalmente si interruppe, la polizia intervenne.
Io mi trovavo di colpo senza niente da fare. Il computer ed il cellulare non servivano quasi più a niente. Avevo finito tutti i giochi che avevo da giocare. Di leggere non se ne parlava, mi veniva subito il mal di testa.
Era evidente che da lì a qualche mese saremmo falliti, avrei smesso di essere uno che ha scelto di non lavorare e sarei diventato un vero disoccupato, un disoccupato standard di un paese che stava annegando. Non saremmo più stati la generazione dei privilegiati, quelli vissuti senza guerra e senza fame, quelli dei vestiti firmati, dei viaggi in aereo dappertutto, quelli cresciuti senza bombe nelle stazioni, quelli che al massimo erano andati a farsi qualche corsetta inseguiti dalla polizia durante una manifestazione all’università. Ci eravamo dentro, nell’apocalisse, o in qualcosa che gli somigliava, per un virus di merda tipo un’influenza ma più aggressiva, che faceva secchi gli anziani, i quali però a loro volta sembrava non aspettassero altro. Immobili nei giardinetti, aspettando il triste mietitore che raccoglieva le sue canute messi.
Film e sceneggiati apocalittici ci avevano messi in guardia, ma non avrei mai immaginato che sarebbe stata soprattutto colpa dei vecchi e dei cinesi.
Se non altro era l’esperienza generazionale necessaria a renderci in qualche modo protagonisti della storia, soprattutto per noi che avevamo tredici anni durante il G8 di Genova, giusto tre o quattro anni in meno di quelli che sarebbero serviti per farsi ammazzare di botte per manifestare contro la stessa globalizzazione che venti anni dopo ci avrebbe ammazzato, a botte di viaggi aerei intercontinentali a ritmi forsennati, ed in generale alla eccessiva movimentazione di merci e cristiani.
Fu così che allora mi diedi alla macchia anche io, un po’ per noia, un po’ per andazzo generale, un po’ per ritorsione. A causa della quarantena non avevo potuto mettere la bicicletta in cantina. Ovviamente me l’avevano fottuta.

Il giorno in cui venne assaltata la Coop c’ero anche io. La gente era completamente fuori di testa. Un sacco di gioia ed un sacco di rabbia. Una euforia da invasati, da maniaci, da impasticcati, da rito orgiastico, da gente che si è fatta un bello stufato di Amanita muscaria. C’era chi aveva lasciato i denti sul selciato per non farsi portare via della carta igienica. Decisi tuttavia all’ultimo di non partecipare al saccheggio; era sufficientemente soddisfacente godersi lo spettacolo di quel piccolo frammento di occidente civile che deflagrava davanti alla potenza della natura, in grado di vendicarsi di noi fottuti bastardi Homo sapiens, nello specifico: Occidentali Democratici Civili che vivevano in un paese formalmente capitalista del blocco Atlantico.
Un pipistrello mangiato in Cina, con la dovuta dose di fortuna, ci aveva fatto collassare. Una vendetta perfetta; ma i pipistrelli sono abituati a trasmettere virus quando qualcuno li preda, per dirne due: ebola e rabbia.
I cinesi che avevano occultato i loro morti ci avevano fatto sottovalutare la questione.
Le destre che avevano demolito il sistema sanitario nazionale ci avevano reso impotenti.
Gli anziani che avevano deciso di ricongiungersi a Cristo disobbedendo a qualsiasi regola ci avevano condannati.
Gli sbirri che col loro cuore d’oro non avevano tamponato la questione se ne erano lavati le mani.
Gli stessi sbirri che chiudevano gli ingressi della piazza-giardino della Coop e lavavano i denti coi manganelli a tutti i vari invasati che avevano saccheggiato il supermercato. Io rimediai un totale di ben zero manganellate, avevo un certo talento per evitare le mazzate in quei contesti, fin dai tempi dell’università. Mi stesi in una siepe ed uscii a faccenda risolta. Un sacco di sangue e un sacco di patatine, e di cibo diventato spazzatura, che forse qualcuno più tardi, per fame avrebbe raccolto.
Non c’erano cadaveri, ma ci poteva stare. La lezione cinese l’aveva imparata anche l’Occidente: insabbiare tutto il possibile. Il sangue lo avrebbe lavato da terra la stessa azienda che aveva “vinto” l’appalto della sanificazione delle strade.

L’unico dato positivo, egoista ed anche miserabile, era che tutti i miei fallimenti personali, a fronte del fallimento totale dell’Occidente, diventavano davvero poca cosa.

Ottava settimana di quarantena.

Poi sono cominciati i blackout. Il telefono e la televisione rimanevano le principali fonti di informazione. L’utilizzo di internet era diventato sovrapponibile a quello di una posta veloce, inviavi un messaggio e aspettavi qualche ora o anche mezza giornata prima che arrivasse al destinatario, cosa comunque non scontata. L’approvvigionamento di cibo era diventato discontinuo, e c’erano volanti delle forze armate davanti ai negozi rimasti aperti. Il costo dei beni di prima necessità era schizzato in alto: pasta di media qualità oltre i due euro (per il mezzo chilo), merendine di livello a cioccolato ed arancio a 5 euro a pacco, per non parlare poi di frutta e verdura, che io però utilizzavo solo come base per cocktail domestici. Non si sapeva fino a quando le scuole e le attività commerciali non essenziali sarebbero rimaste chiuse. La notte era un po’ un casino, le forze armate facevano il loro, ma il teppismo era dilagante, i furti ed i saccheggi facevano parte della realtà costitutiva di quei giorni, e non erano più appannaggio dei soli antisociali, ma di un po’ tutte le fasce della popolazione.
La situazione generale poteva essere vista come quegli strani esperimenti di ibrido tra l’anarchia ed una dittatura militare. Il colpo di Stato era comunque nell’aria.
Si sperava per il meglio, ci si preparava all’inevitabile peggio, ma con quell’ottimismo super-vitalistico che è figlio della più bieca rassegnazione.
Mentre tornavo dalla spesa, dopo la classica ora di coda, un gruppo di ragazzi aveva circondato un anziano, cercando con cazzotti e calci di sorpassare il virus nella sua eventuale mietitura di vite.
-Testa di cazzo! È colpa di voi vecchi.
-Siete dei coglioni, ma a questo giro la paghi tu per tutti i vecchi come te.
-Tanto a noi giovani il virus non ci fa un cazzo.
Dissentire, ma solo limitatamente. D’altro canto quel tipo di barbarie non era tollerabile. La mia inferiorità numerica, ed i miei sacchetti della spesa mi rendevano comunque non all’altezza della situazione in termini di eventuale risoluzione a mezzo di schiaffi. Tentai l’unica strada percorribile, tanto ero quasi sotto casa.
Urlai: -Handicappati di merda, il virus è mutato, ora prende anche i giovani. Tempo una settimana ed avrete i polmoni pieni di piscio. Capito bene, pisciazza.
I giovani si allontanarono dal vecchio.
Io me la squagliai in fretta.
Un nuovo mondo ci aspettava, che poi era quello vecchio, solo più sfilacciato e più povero.
Feci le scale di corsa, diedi varie mandate alla porta di casa.
Piazzai il termometro sotto l’ascella, sentendomi un po’ come chi fa rullare il tamburo di una rivoltella prima di un giro di roulette russa.