La coperta di freddo.

La coperta di freddo (La coperta di fumo)

Un’invernata lunga, priva di lavori continuativi.

Un’invernata che a posteriori avrebbe contenuto più di un insegnamento, ma che nel suo mezzo era piena solo di cieli grigi e giornate tutte uguali.

Tramonto alle quattro di pomeriggio. Regolare in inverno. Un tramonto precoce dello stesso colore dell’umore che ha chi si punta la canna di una pistola alla tempia.

Alternarsi di venti, placido sempre il medesimo grigio umore.

La rosticceria mi evocava al suo ingresso poco prima del tramonto.

Il solito: -Un rustico ed un calzone. Grazie.

La scelta era difficile. Per fortuna che spesso si può scegliere tutto. Entrambe le scelte. Tutte le scelte.

Il percorso espansivo del singolo, che si estroflette in un’enorme apertura, pur di ingoiare tutto. La scelta è limitazione, infilare il piede non in due scarpe, ma in un intero negozio, pur di tenersi quelle quattro libertà del cazzo che sconfinano fissamente nella solitudine.

Una mail da parte dell’amministrazione comunale, inerente una mia convocazione in prima persona per un certo incarico non meglio specificato.

Il bello della faccenda è che il municipio si trovava nelle immediate vicinanze delle migliore rosticceria e pasticceria della città.

Qualche minuto dopo aver consumato il pre-cena mi recai da chi mi aveva convocato.

L’impiegato comunale grigio come il cielo, grigio come l’umore diffuso in pieno inverno. Le guance cascanti, guance da grasso su un corpo smagrito. Non era la prima volta che ci parlavo, qualche volta dovevo pure averlo visto su qualche scoglio in estate. Grigio, come già detto, ben allineato. Rotellina di un macchinario ben oleato, quello della difesa dello status quo comunale di una amministrazione che erroneamente avevo addirittura difeso in passato.

-Bene, Signor Z… sbaglio o sento odore di rustico?

-Ha capito benissimo. In questa città in questo periodo dell’anno non avendo un bordello di riferimento non mi rimane altro che aggrapparmi alla superiorità insindacabile della nostra tradizionale rosticceria provinciale. Ma detto ciò, a cosa devo la mia convocazione qui?

-Ci serve la sua collaborazione.

-Molto bene. Accetto, indipendentemente dalla natura della cosa. Tuttavia mi piacerebbe avere il giusto ritorno economico. Sono tornato a vivere dai miei genitori, e la cosa mi pesa un poco.

-Ah, sì, a gattopoli, giusto?

-La prego di non fare dell’ironia. Quelle quattro bestie sono una delle poche cose che mi tiene legata a questo posto.

-No, ci mancherebbe. Non volevo offendere i suoi affetti.

-Come risolviamo la cosa dal punto di vista economico?

-Quattromila.

-Molto bene. Cosa devo fare?

-Aspetti che mi invento una cazzata…

-Mi scusi?

-Mi scusi lei. Mi andava di prenderla in giro. Niente di personale, sia chiaro. È solo che il sindaco ci tiene al fatto che noi curiamo i rapporti umani con la bassa manovalanza.

-Capisco che data la mia situazione di laureato indigente sia facile prendersi gioco di me, ma la inviterei ad essere più rispettoso.

-É questo che le ha insegnato la vita?

-Un tecnico comunale, un impiegato. Un impiegato. Vorrei essere anche io un impiegato, con una scrivania personale. Il culo su una sedia, una gamma limitata di responsabilità. Le mani pulite, ed un vasetto con una di quelle soluzioni untuose per igienizzare le mani di continuo. Anzi, no. Quella roba untuosa mi fa schifo al cazzo.

-No, mi dispiace, per quello deve aspettare. Il suo lavoro è sul campo. Noi la vogliamo per quello.

-Questa è l’ultima volta che mi muovo per quattro soldi. La prossima volta vorrò essere pagato in terreni, o immobili.

L’impiegato se la rideva.

-È molto diverso da suo padre.

-Lei lo conosce, giusto?

-Sì, lui lo conosciamo tutti. A lei invece non la conosce nessuno. Come mai?

-Il basso profilo è il migliore travestimento.

-Ah, è così che dicono i giovani di sinistra di oggi?

-Il vero basso profilo è neutro. È senza opinioni manifeste, richiede l’uso di capi d’abbigliamento mimetici con l’ambiente urbano. Si mimetizza con la pioggia. Non ha credo alcuno. Striscia tra le rocce come un serpente e salta sui tetti come un gatto. Un fantasma con un corpo di carne.

-Che gasato. Quanto le piace usare l’incenso al posto della brillantina. Riceverà comunque le istruzioni al più presto. La nostra conversazione può dirsi conclusa.

-Molto bene.

-La saluto dandole la mia definizione di politica. Vale a dire: la politica è la capacità di collimare i propri desideri coi bisogni altrui.

-O di vendere i propri desideri per i bisogni altrui.

-In che senso?

-La frase è volutamente fraintendibile.

-No, si spieghi meglio.

-Mi spiego meglio: non mi interessa granché la sua definizione di politica.

Felice del nuovo impiego ottenuto festeggiai ripassando dalla rosticceria. Ero indeciso tra un rustico ed un gelato, scelsi un altro rustico.

Il Sabato pomeriggio in un paesino ai limiti estremi della nazione in inverno figurava come assolutamente triste e privo di qualsiasi ritorno positivo. Mi bloccai sul divano di casa mentre mia madre cucinava.

-Hai poi fatto nulla coi vaccini.

-Ovviamente no.

-Ti devi sbrigare.

-Le malattie infettive rappresentano le munizioni con cui dio ci fa fuori.

-Sempre con questi discorsi!

-Io faccio tutti i discorsi che preferisco.

Entrò mio padre in stanza sentendo l’ultima parte della conversazione.

Provò a mettermi in riga con un paio di battute inerenti la mia stramberia.

Glissai cambiando argomento. Parlai del referendum. Abboccò. Andai in giardino a vedere come stavano i gatti, mentre lui attaccava bottone con la Gruber che parlava dall’interno del televisore.

Chiamai per una cinquantina di volte un gatto morto qualche mese prima. Rimasi deluso. Non basta la voce del padrone per richiamare un animale fuori dalla tomba.

Avrei voluto tanto avere qualcosa in casa che mi potesse aiutare a resuscitarlo perlomeno come allucinazione, ma avevo quasi esclusivamente antinfiammatori nell’angolo dei medicinali. Glissai nuovamente e diedi un poco di croccantini agli altri gatti. Feci anche una seconda montagnetta di croccantini per il cane, in maniera automatica; un istante dopo mi ricordai che anche il cane era morto. Rimanevano l’aria umida, il naso bagnato e qualche lacrima.

La sigaretta magnetica mal si abbinava al fumare in giardino, saltando da un lato all’altro dei bassi muri divisori che cingevano il breve sentiero che spezzava in due, simmetricamente, il giardino di casa. Dato che non puzzava quanto una sigaretta normale sarei potuto rimanere a fumare sul divano di casa, ma i ricordi non sarebbero venuti a galla con la stessa naturalezza.

Al termine della cena il telefono suonò, era il sindaco:

-Ciao Z., Marlozzi ci ha detto che hai accettato.

-Ah, l’impiegato? Ero convinto che si chiamasse Picarignata.

-No, quello è un soprannome.

-Ho capito. Cosa volete?

-Il Sindaco di Ncarcagnano ci ha rotto parecchio le scatole. Sta facendo di tutto per trovare il modo per farmi cacciare dal partito, per quella questione del referendum.

-Ho sentito. Ma le vostre posizioni sono pubbliche. Ergo, chi cazzo se ne fotte?

-Tutti sanno tutto. Non conta quello che si sa, non più al giorno d’oggi. Conta quello che si fa, quello che si dice, come lo si dice e perché lo si dice.

-Ho capito. Ho capito il problema di fondo perlomeno, ma io che devo fare di preciso?

-Sequestrare suo figlio.

-Davvero?

-Certo che no.

-Allora?

-Allora niente… si tratterebbe di… forse è meglio parlarne di persona piuttosto che al telefono.

-L’uso corretto del piuttosto che. Non disgiuntivo ma avversativo. Posso trovarmi d’accordo sull’uso che ne ha fatto, ma per quanto mi riguarda ho avvertito un mezzo conato mentre lo diceva. Sa che c’è? Si tenga pure i soldi. Alla fine vivendo coi miei genitori non ne ho tutto questo bisogno.

-È un modo per dire che presterà i suoi inaffidabili servizi a titolo gratuito?

Titolo gratuito. Tra il fare ed il non fare di solito scelgo la seconda. La distrazione. La consolazione del non essersi impegnato a sufficienza, rispetto agli obiettivi non raggiunti. La necessità di essere fedeli ad una propria linea.

-Cercherò di essere più chiaro. Momentaneamente la nostra collaborazione è sospesa.

-Come mai?

-Mettiamola così: non mi sento valorizzato a sufficienza.

Il valore di una controproposta.

-Anzi, mettiamola così, caro Sindaco. Come compenso voglio un lembo di terra di almeno venti ettari compreso tra il nostro comune ed il mare. Che sia a nord o a est non mi importa.

-Questa richiesta è inaccettabile.

-In ragione di ciò la risposta è una ed una soltanto: questi sono cazzi vostri.

Chiamata estinta.

La razionalità può arginare l’impulsività solo fino ad un certo punto. Lo stato emotivo del momento può essere la grandezza che fa la differenza. Oscillando il giusto si può evitare di essere definiti e previsti.

Un giro in auto verso est. Verso il mare. Il mare d’inverno.

Un bar nei pressi di una scogliera.

-Vorrei un vodka sour?

-Ah?

-Niente praticamente è tipo un vodka lemon, però allo stesso tempo è parecchio diverso.

-Ce ggede? (Cosa è?)

-Vodka, succo di limone, zucchero liquido. Le proporzioni sono grossomodo prefissate, però ci si può giocare parecchio. In molti lo servono in coppetta, ma io ho una reputazione da difendere, quindi preferirei un tumbler.

-Nu tambler? (Un tumbler?)

-Un bicchiere grosso. Con anche del ghiaccio dentro.

-Guarda, non so se abbiamo tutti questi ingredienti.

-Guarda, fammi un vodka-chiurazzi.

-Ecco, vedi, già cominciamo a ragionare.

-Tre euro e cinquanta.

-Grazie, gentilissimo.

Al meridione si beve male ma spendendo poco.

Una panchina sul mare. Nessuno in giro, malgrado sia domenica mattina. Gruppi di motociclisti che tentano la fortuna sulle curve, cercando il non significato della propria esistenza. Cercando di raggiungere la velocità di fuga dall’esistenza.

Mi crogiolo in un cocktail mediocre e nel mio falso senso di superiorità.

Mi crogiolo nel piacere del non avere un cazzo da fare, pur temendo l’altra faccia della medaglia; la noia illimitata, il non senso, il vuoto, la deriva infinita.

Cosa mi potrebbe smuovere da questo torpore?

Una evocazione. Il freddo battente malgrado il sole ed il cielo terso. Il cielo terso proprio in ragione dell’algida tramontana.

Infine si palesa. Bionda, magra, candida. A tratti più morta che viva.

La riconosco per intuizione. Potrei comunque sbagliarmi, ma mi pare una carneificazione dei venti del nord, della tramontana appunto.

-Ti ho sentita prima che arrivassi. Come dire, eri nell’aria.

-Un pensiero circolare.

-Già.

-Cosa ci fai qui?

-Cercavo una motivazione.

-Rispetto a cosa?

-Al continuare a respirare. No, aspetta, detto così suona male.

-Invece cosa volevi realmente dire?

-Mi sentivo stantio. Privo di scopo. Un poco inutile. Anche i vari mezzucci che prima avevo per occupare il tempo hanno perso d’attrattiva. La cosa non mi dispiace neanche troppo, erano tutte abitudini ai limiti della compulsività, tante microdipendenze. Alcune neanche tanto piccole.

-E cosa ti aspetta da questa mattinata?

-Boh, un’illuminazione. Anzi, quello sarebbe troppo. Limitiamoci ad una conversazione.

-Ti aspettavi una conversazione con me?

-Sessanta milligrammi di codeina nella gassosa dovrebbero aiutare in quel senso, no?

-Non hai appena detto di aver trovato conforto nella mancanza del conforto da abusi?

-Già. Infatti stavo bluffando. C’è solo un poco di vodka nella gassosa.

-I ricci non hanno la coda dei pavoni.

-Che stramba chimera che paventi.

-Su, che vuoi da me?

-Tenerti abbracciata nel letto, stringerti fortissimo e morire assiderato. Sentire i battiti del cuore diradarsi rallentando. Resistere alla tentazione dei brividi, e raffreddarmi una volta per tutte.

-Il suicidio è da vili.

-Noi ci siamo già incontrati. Probabilmente in un’altra opera letteraria minore.

-Può darsi, ma francamente non mi ricordo.

-Eravamo su un tetto, e ti abbracciavo morendo.

-Il fatto che tu ancora respiri e viaggi sui trentasei gradi la dice lunga sull’affidabilità dei tuoi ricordi.

-Come fai a mantenerti così in forma?

-Incarno uno stereotipo, di bellezza e di debolezza. Una fanciulla da soccorrere. Un’esca perfetta.

-Ci sono pesci che abboccano solo per trascinare i superbi pescatori in fondo al mare.

-È una specie di minaccia velata?

-Spinte d’agonismo legate ad una certa estetica machista.

-Provo ad essere più diretta: che cazzo vuoi da me?

-Un poco fuori ruolo, no?

-I ruoli li fissi tutti tu?

-In questo momento e su questa terrazza sul mare, sì?

-Un uomo che impone obblighi ad una divinità elementale. Non ti sembra vagamente un peccato di Ybris?

-Sono cattolico. Debbo rispetto ad una sola divinità. Inoltre, a dirla tutta la Santa del nostro paese secoli addietro ti arginò.

-Cioè?

-La Chiesa del nostro paese venne ordinata da Santa Maria Maddalena. Comparve in sogno ad un contadino, ed ordinò la costruzione della chiesa madre per proteggere i raccolti del paese da una imminente gelata. La gelata arrivò. I paesi intorno se la beccarono in pieno, e patirono la carestia. Noi ci salvammo.

-Sai, non ho memoria di tutte le gelate che ho prodotto. Ma non giudicarmi, noi elementali facciamo il nostro lavoro. Senza di me ti dovresti sciroppare illimitati sciami di mosche.

Volevo fare una battuta tipo “un lavoro elementare” o “elementare Watson”. La poca decenza rimastami mi impedì di farlo.

La guardai però, con fare da cane bastonato. Non dissi niente.

Mi guardò a sua volta, con gli occhi pieni di pietà.

-La pietà implica disprezzo.

Le dissi.

-Questo dice molto di te.

Si sedette accanto a me sulla panchina, mi strinse a lei. Una cosa un poco ridicola. I ruoli sarebbero dovuti essere invertiti. Era fredda, era come stare abbracciati ad un blocco di ghiaccio. Ma era comunque bellissima, e ciò mi confortava rispetto a quei dolorosi brividi.

Cominciò a raccontare:

-Ci sono persone che fanno di tutto per sabotare la propria vita. Ne hanno tutte le buone ragioni però, sai per il loro non sapere stare al mondo. Alcune sono così meschine da arrivare al punto da mettersi intenzionalmente in situazioni sgradevoli e dolorose, solo per avere quella rabbia che gli serve per poter svolgere le loro attività sussistenziali di base. Chi lo fa per scrivere, chi per lavorare, chi per qualche altra miserabile disciplina artistica, chi per sentirsi legittimato a tradire la moglie senza sensi di colpa. Di guaio in guaio, una stortezza coatta da contrapporre ad una stortezza interna.

Mi coprì, come una coperta di freddo. Tremavo, resistevo. Con i denti battenti le dissi:

-Io per coperta di freddo ho sempre inteso un’altra cosa. Una coperta di fumo. Quella coperta che quando ti copre ti mette nelle condizioni di patire tutto il gelo del mondo. Le vene si aprono fino al loro massimo, trasformando il corpo in un grande radiatore. Il calore gelosamente custodito va via, e l’unico modo che il cervello ha per tenerti su è di farti tremare, dolorosamente. Una piccola piccola cannetta.

Chiusi gli occhi. Smisi di tremare. Pensavo che sarebbe finita là.

Verso le tre un amico di mio padre mi beccò addormentato sulla panchina. Mi svegliò, mi costrinse a prendere un cappuccino, e si accertò che fossi in grado di guidare fino a casa. Mi feci una settimana di simil-influenza, conscio di non aver contratto alcun virus.