Carbone da Caldaia.

Tutto quel freddo non si era mai visto tutto insieme in un paesino del Mediterraneo, non almeno all’interno della flebile cornice della memoria degli abitanti di quel preciso paesino.

La novità è facile che sbanchi tutto il resto. Può capitare di immedesimarcisi così tanto da provare ad essere la novità stessa.

Sfortunatamente quella novità era fredda e tagliente.

Era altresi probabile che le varie estati torride avvicendatesi avessero sbiadito il ricordo di un ipotetio inverno più freddo di quello in atto quell’inverno.

Il signor Giacomazzi si era fatto notare dai vicini per le continue urla e le accuse che rivolgeva al proprio gatto. Era noto per essere un uomo solo e collerico, vagamente incline ad accusare il prossimo per i propri guai. Non era infrequente che bevesse, ma i più in paese davano la colpa del suo strano comportamento alla sua inclemente solitudine.

Pomeriggi passati ad urlare, seguiti da acutissimi miagolii della bestia che pareva ogni volta sul punto di venire scannata. Ogni pomeriggio intorno alle 17 accadeva lo stesso teatrino. Anche i vicini maggiormente insensibili, la cui antisocialità era stata indebolita dalla vecchiaia, non riuscivano ad ignorare quei versi.

Capita del resto agli uomini anziani burberi che vivono da soli, magari con la compagnia di solo qualche hobby e qualche animale, di perdere completamente il capo.

Anzichè rivolgersi agli organi competenti, ovvero la forza pubblica o i servizi di salute mentale, il sindaco del paese si rivolse a tale K., un libero professionista specializzato negli insabbiamenti e nella risoluzione di guai che potessero dare pubblico scandalo.

L’assessore deputato alle politiche sociali contattò K. In modo piuttosto telegrafico, nonché quasi teleferico: -Urge intervento a riguardo di sospetta possessione. Importante il non coinvolgimento di giornalisti o peggio di social network.

Si parlava di circa 800 euro cacati di punto in bianco. K. era in paese in un momento di totale inoccupazione. Colse la palla al balzo per accumulare quel po’ di capitale da reinvestire completamente in vettovaglie, con lo scopo di aumentare il più possibile il suo peso o di morire nel tentativo di farlo.

Quel freddo totale gli ricordava i suoi natali in qualche posto del Nord Italia. Lo faceva morire di nostalgia quel vento freddo, che gli pareva la carezza di una terra lontana. D’altro canto i luoghi dell’immaginario, lontani nel tempo, finiscono con l’essere enormemente deformati dalla lente del ricordo. Il posto di cui sentiva la mancanza non esisteva più, come più non esisteva quel fitto meltin pot di meridionali trapiantati lungo una ferrovia tra le Alpi.

-Mi sento un po’ come se non avessi patria.

-Sei nel tuo paese Natale.

-No, sono nel paese dei miei genitori. La mia infanzia è avvenuta altrove.

-Ma chi cazzo se ne fotte, ti dico io.

Un interlocutore casuale, un parente potenziale, tarpò le ali di questo eventuale scambio.

Decise di non perdere tempo in ulteriori riflessioni sul ruolo del gelo nella sua vita e si ricompose cercando di trovare la necessaria densità per affrontare il suo ruolo.

K. andò disarmato. Voleva evitare di risolvere la questione come avrebbero fatto i servizi durante la Prima Repubblica. Più realisticamente non sarebbe stato in grado di ammazzare un vecchio a sangue freddo, e la strada della conciliazione sarebbe certamente stata più conveniente.

Bussò varie volte alla porta dell’anziano formalmente uscito di testa.

Nessuno rispose.

La casa del signor Giacomazzi era relativamente indipendente. Confinava con quelle vicine, e disponeva di un giardino decente, 200 metri quadri almeno. Il muro di recinzione non era troppo alto.

La gente dei paesini non ha bisogno di antifurti, o di sistemi di dissuasione più efficienti di un cane sufficientemente rustico. Di solito il controllo sociale vicendevole è tale da prevenire quell’insieme di comportamenti formalmente ritenuti anti-sociali. I furti si limitano alla raccolta di frutta e verdura degli altri, fermamente condannata da eventuali testimoni, ma limitata geograficamente alle campagne poste tra un paese e l’altro, quindi meno facilmente individuabile.

K. trovò il modo di arrivare nel giardino del signor Giacomazzi scavalcando.

Il giardino pareva abbastanza abbandonato. L’inerbmento tuttavia era limitato, le erbe infestanti tuttavia erano state tenute a freno dal rigore invernale.

Nel mezzo del giardino stazionava un gatto nero vagamente sfumato di rosso. Magro e col pelo lungo e gonfio.

Fece un cenno al gatto, K., che da canto suo ricambiò con un’occhiata tiepida, di neutralità piena, ottima piattaforma per costruire una eventuale amicizia, perlomeno all’interno dello standard di una relazione gatto-cristiano.

K. provò a bussare dalla porta interna del palazzo, assolutamente conscio del fatto che quel tipo di approccio gli avrebbe fatto guadagnare una chiara posizione di svantaggio, nonché un mare di guai in omaggio.

Gli venne in mente che, per le leggi in vigore in quel momento storico, un padrone di casa poteva sparare a chiunque gli entrasse nel giardino.

Tra se e se commentò: -All’Americana, porcoddio.

Giacomazzi aprì, parve sorpreso: -Ti ha chiamato quel figlio di puttana, vero?

-Dipende da chi intende per figlio di puttana.

Il piano originale di K. era quello di passarsi per un tecnico della società del gas che si era perso tra i vari giardini confinanti. Tuttavia, puramente per mere questioni legate al fatto che non riusciva ad inventare cavolate con quella temperatura decise di arrangiarsi con la verità.

-Hai capito di chi sto parlando. Lo sai bene…

-Vabbè, mi ha chiamato il sindaco.

-Sì, certo. Come no. Non me ne frega niente del sindaco. Il sindaco è un sacco di concime, non esiste neppure. Il sindaco sta sulla poltrona solo per poter permettere alle persone del paese di parlare male di lui. Io so chi ti ha chiamato.

-Ah, sì. E chi?

-Quel pezzo di merda di Carbone.

-Non conosco nessuno che si chiami così.

-In molti lo conoscono come Invernaccio.

-No, guardi, le spiego, mi ha mandato il Sindaco per cercare di capire cosa c’è che non va.

-Cosa c’è che non va?

-C’è che lei urla come un dannato tutti i pomeriggi, e si sentono dei rumori ascrivibili a macellazione clandestina di animali. Mi segue?

-Dicevo io che ti ha mandato quel pezzo di merda.

-Mi sta dicendo che il sindaco e questo Carbone sarebbero la stessa persona?

-No, ti ha mandato quell’animale…

Indicò col dito verso il giardino.

-Guardi, io capisco che magari l’operato del Sindaco sia discutibile, e che forse sia un tantino presuntuoso e supponente, però, ecco, dargli così dell’animale… non saprei. Cioè io neanche ci abito più qui in paese, però non mi pare…

-Stai zitto! Stai zitto e ascoltami! So che ti ha mandato il gatto. Ti ha chiamato qui per farla finita con me.

-Il gatto? Quale gatto?

-Quello che vedi in giardino.

-No. Non c’entra niente il gatto. Mi manda il Sindaco.

Provò a farsi capire dal vecchio guardandolo negli occhi, e facendo valere i propri di occhi come garanzia. Giacomazzi fece entrare K. In casa.

Era proprio una buona idea entrare in casa del Sig. Giacomazzi. Le possibilità di venire eviscerato dal padrone di casa erano comunque sostanziose.

-Quel gatto non è mio. Non l’ho preso io. Un giorno me lo sono trovato in giardino, insieme ad altri tre. Una piccola pezzata di vari colori, una simile a lui per colore ma con la coda mozzata ed un occhio guercio, ed uno tigrato a pelo corto. Li ho tollerati nella speranza che potessero allontanare i topi, ma col tempo sono diventati esigenti. Elemosinavano il cibo tutti i giorni, e la notte non mi facevano dormire. Miagolavano costantemente, se sgridati si allontavano come faine per ricomparire dopo qualche secondo. Testardi e insistenti come venditori di aspirapolvere o di contratti elettrici. Ignoravano le secchiate d’acqua ed insistevano col reclamare cibo. Al terzo giorno che non dormivo ho perso la testa. Prima ho ammazzato la nera con un grosso pezzo di legno, sono riuscito a centrarle la testa da una decina di metri. Un bel taccaro, pesante, di due o tre chili. Poi sono riuscito a bastonare quella piccola, sempre in testa, da vicino, mentre dormiva. Quello tigrato si era fatto furbo aveva capito l’andazzo. L’ho dovuto ammazzare col veleno per topi. Li ho tutti buttati nella spazzatura. L’ultimo lo volevo risparmiare, era l’unico affettuoso, quasi di compagnia.

-Ma intende quello che è ancora vivo?

-Quello che è là in giardino. Lo volevo risparmiare, ma miagolava anche lui sempre. In più dopo che avevo ammazzato i suoi amici si era fatto schivo. Mi sembrava normale finire il lavoro.

-E invece come mai non l’ha ammazzato?

-L’ho ammazzato sì, invece.

-Non mi sembra.

-Anche lui a bastonate, sulla schiena però. Dopo averlo ammazzato però ho pianto, e poi l’ho buttato nella caldaia. Ha fatto una bella fiammata, sembrava di aver buttato benzina nella caldaia. I termosifoni sono diventati bollenti. Un caldo mai sentito in inverno. Forse si era risolto anche qualche problema di umidità…

-Il gatto è quindi sopravvissuto ad un giro nella caldaia?

-Il gatto è morto, ma la mattina me lo sono ritrovato in giardino.

-Come?

-Il come non ha senso, non lo so, lo capisco da solo che non ha senso. Ogni pomeriggio lo ammazzo, quando la temperatura si abbassa. Neanche ha paura fino a quando non lo prendo in mano per rompergli il collo. Miagola e basta, i suoi graffi sono deboli, quasi rassegnati. Qualche volta l’ho infilato nella caldaia senza neppure romperglielo il collo. Ogni giorno la caldaia mi fa le feste, ed i termosifoni diventano caldi come l’inferno. Grazie a questo gatto sto risparmiando un sacco di soldi sulla legna, ma è evidente che non è una cosa naturale, ed è ovvio che dovrò pagarla. Ma la schiena ce l’ho a pezzi, e non riesco ad andare a prendere la legna. Mi sto accontentando.

-Secondo lei possiamo risolvere la cosa in qualche modo?

-Ho provato anche a lasciarlo morto in giardino, ma è uguale. Ho provato a fare le veglie alla finestra, ma mi sono sempre addormentato.

-Ha provato a tenere il corpo in casa durante la notte?

-Certo, e rischiare magari che la casa venga infestata dallo spirito? Ti sembro un cretino? Dimmelo, ti sembro un cretino?

-Non ha tutti i torti.

-Quindi adesso che sai come stanno le cose, che cavolo vuoi da me?

-Ecco, volevo chiederle… Posso prendere il suo gatto?

-A che scopo?

-Beh, vede, i miei genitori sono molto tirchi e st’inverno sto morendo di freddo. Capisco che il gatto le torna utile come sostitutivo della legna, ma ho paura che tutto questo stress la potrebbe fare impazzire. Inoltre, probabilmente questo fatto continua a ripetersi poiché i gatti morti l’hanno maledetta, quindi in teoria è molto facile che il gatto ritorni.

-E quindi?

-E quindi niente, mi posso tenere il gatto? Sa, a sto punto provo pure io a infilarlo nella caldaia.

-Guarda, visto come stanno le cose fai come vuoi.

-Va bene.

K. se ne andò col gatto. Il comune gli liquidò quegli ottocento euro. K. Usò la quasi totalità dei soldi per far recapitare del nocciolino da caldaia al Signor Giacomazzi. Decise di non provare ad usare il gatto Carbone come biocombustibile perpetuo, nell’eventualità che il Signor Giacomazzi si potesse essere inventato tutto.