Idrorepellente (Capitolo Integrativo)

Capitolo Bonus: Idrorepellente (ma non ignifugo)

Incoronato divinità maggiore della rassegnazione davanti allo specchio, da un turbinio di cattivi pensieri, provo ad aggiustarmi i capelli, e soprattutto spunto la barba sulla destra, dal momento che mi pare più lunga che a sinistra, ed anarchica in un senso decisamente antiestetico.

Mi guardo più volte allo specchio e mi ripeto: -Non ci hai capito un porcoddio di un cazzo manco stavolta.

Importa poco. Importa tanto quanto grosso modo il tutto.

Sostanze in casa? Nessuna.

La casa? Ma quale casa?

Sostanze in casa, a dire il vero v’è la solita.

Accetto o boicotto?

Ne ho davvero ancora bisogno?

Sono certo del fatto che il mio spacciatore endogeno ce la possa fare da solo.

-Non è proprio un tumore, è più tipo una ghiandola. Non è nel cervello, è un quarto strato a sorpresa delle surrenali. Glo-fa-re. Glomerulare, fascicolata, reticolare. Con-glo-fa-re. Conglobata, glomerulare, fascicolata, reticolare.

Tutto un bell’andare a speculare su una fantanatomia non definita ancora da alcun atlante. Un ospite inatteso si palesa per produrre un siparietto in cui discuto sul da fare.

Ha l’aspetto di un signore che mi aspetterei di trovare in una risaia. Volendo anche un pescatore. Uno che tende a tenere parecchio i piedi a mollo.

-Per curiosità, ma lei è una specie di mondino, o più un pescatore?

-Nelle risaie di livello ci sono le anguille. Quindi capita di pescare, pur non avendo la cosa come priorità.

-Al solito.

La narrazione prevede una collocazione temporale specifica, quando inserita in un’opera più grande. Un cazzo di fascismo cronologico. Come ci si può ribellare a ciò rendendo uno scritto davvero modulare?

-Niente, non puoi.

-Il cazzo. Posso eccome, e proverò a dimostrartelo.

-Il fatto che in un dato contesto tu possa alterare la realtà che hai intorno non ti fornisce comunque la libertà sufficiente che aneli. A meno che non presupponi la possibilità di produrre viaggi nel tempo, ma quello è un giochino davvero troppo inflazionato.

-Signor pescatore, forse non ci siamo capiti, sono nello stato emotivo giusto per fottermene il cazzo. Parliamo della giusta impulsività, martellante, ritmata su percussioni automatiche. Una drum machine infinita a guidarmi.

-Comincio a non seguirti ragazzo.

-Mi hai dato tutta una serie di risposte inutili. Là c’è il divano, goditelo che cazzo. Al momento giusto torneranno gli altri, o forse ci sono anche adesso solo che in preda a delle controallucinazioni non li stiamo vedendo.

-Un’allucinazione allucinata comincia ad essere un paradosso un poco troppo frattalico.

-I frattali ti bruciano il cervello. Di sicuro sbagliato, ma comunque bello.

-Una volta i giovani abituati ad intossicarsi di derivati di funghi neri erano molto più abituati ai frattali.

-Stop all’ergot. Cartoni fa rima con coglioni. Cartoni animati. Che ridere. Gli audiovisivi come sostituti delle sostanze. Grazie al cazzo che i nostri genitori erano contrari a farci vedere della roba così simile al prodotto delle droghe.

-Io non ho mai avuto dei genitori. Alla fine sono soltanto…

-Non mi va di parlarne. Comunque sei un vecchio che ad occhio e croce proviene comunque da un tempo lontano. È bene che tu non parli di cose che non puoi avere conosciuto, non nell’epoca giusta della tua vita perlomeno.

Saluto e mi levo dal cazzo.

Una bellissima cerata mi attende sull’uscio. Sull’etichetta interna vi è la scritta Ultra-Mega-Idrorepellente. Il capo d’abbigliamento perfetto per tutte le stagioni.

Esco di casa e non riconosco bene quello che ho intorno. Il quartiere mi sembra cambiato.

È bello osservare la realtà con occhi diversi. Un poco come quando ci si libera dell’investimento emotivo che ci permette di vedere una data persona, di cui magari siamo innamorati, non più come speciale, ma finalmente come tale è. Un miserabile burattino vittima di sé. L’inganno si spezza. Invoco la salienza. Mica la sapienza, eh. Proprio la salienza. Quella un poco alterata in cui la realtà pare a tratti capovolta. Quella in cui il tutto che solitamente ci appare nell’unità del mondo deflagra in tutti i suoi costituenti essenziali. Innumerevoli, immisurabili.

Un piccolo punkabestia rasato di non più di undici anni mi si avvicina e mi porge un volantino.

Mi dice: -Solo per questo tardo pomeriggio è di nuovo il 1987. Ergo, nei pressi del Verano ci sarà un concerto a sorpresa dei CCCP.

-Guarda che li ho visti anche l’estate scorsa.

-Ma con Ferretti o senza?

-Senza.

-Ecco vedi. Quello era tipo il 2010, o il 2011. Questo invece è il 1987 e sono ancora relativamente giovani.

-Mi ha detto un vecchio che i viaggi nel tempo sono un’inculata, ed io sono d’accordissimo. Non ci sto. Non ci voglio stare.

-Tu sei libero di fare quello che vuoi. Ma siccome non sai in che anno ti trovi dovresti avere qualche problema ad orientarti. Ad esempio, in questo momento, sapresti indicarmi dove abitano i tuoi amici? Non hai punti di riferimento. Puoi andare in università certo, ma supponiamo che oggi sia domenica, cosa fai? Scavalchi? Io invece ti posso dire che se vai al Verano, davanti al cimitero sarà sicuramente il 1987. Potresti valutarla come una bella sicurezza. Che fai, ti fidi?

-Senti, ma alla fine che cazzo ho da perdere?

-Hai capito bene.

Mi aveva mandato una sua tesi su un dato argomento per avvalorare il suo ruolo sociale. Poi ero andato a cercarla sull’internet, così, per sicurezza. Aveva un’altra firma. Nessuna prova era reale. Quando ci si innamora ci si fida. La realtà non è indagabile quando ci si vuole fidare. La fiducia è un’apertura. Se apri il costato tutti gli organi del torace diventano esposti. Te la sentiresti di esporli? Le coste bisogne tenerle ben salde sullo sterno. Una chiusura purtroppo è indispensabile se si gode anche solo di una medio-bassa sensibilità. Il resto è davvero solamente autoinganno. Me ne posso fottere il cazzo. Me ne devo fottere. La fortuna mi accarezza sul collo quando sono in difficoltà. Pur diffidente rispetto a certe modalità di contatto fisico non mi ritraggo.

Cammino verso Sud. Conosco la strada. Non esiste nessun lieto finale, ma che cavolo, sono sempre i CCCP, il lieto finale è incluso.

Entro in un bar e compro un pacco di Più Gusto al gusto Doppia Jamaica, ed una Tennent’s. Abitudini d’un altro tempo, comportamenti pre-condizionati. Ma non sono un cane, per quanto possa sbavare. Penso alle conseguenze intestinali dell’assunzione di una doppio malto. Torno sulle mie. Fuori dal bar una ragazza che arrotola proto-pesticidi. Chiedo di scambiare la birra maligna con un pacco di fazzoletti; accetta al volo. Coi fazzoletti mi potrò togliere l’unto dalle mani, ma la secchezza dalla bocca chi me la toglierà? Facile, l’unto medesimo delle patatine.

Vivere con una pistola puntata alla tempia, quella del proprio medesimo giudizio. Ah, il fiato corto. Ah, il tempo che non è mai troppo. Ah, le aspettative degli altri riflesse nelle proprie. Ah, la stessa cosa ma al contrario. La scena culturale che si accartoccia su di se, poco prima di essere lanciata nel caminetto, magari proprio il giorno di Natale, quando il caminetto è più avido di legna, ed allo stesso tempo più propenso a restituire calore. Mani di nipote e di zio che si scambiano una piccola, piccolissima canna, mentre il resto della famiglia di carne arrostita si ubriaca.

Il problema sono sempre gli altri. La base. Il pubblico. Dal modesto e rozzo giudizio. Godessero almeno d’un valido pre-giudizio. E invece, niente.

Un nemico. Il mio nemico. Non più la borghesia, non più i soldi, ma l’uomo, a tutto tondo. Come si può vivere cambiando continuamente opinione? Come si può vivere con un’idea così vacua del mondo. Ma soprattutto come si fa a non scivolare, a fare il passo più lungo della gamba e a conoscere davvero a pieno quanto sia inclinato il crinale che accompagna verso lo strapiombo?

Tenersi le proprie opinioni. Lasciarle sedimentare. Ogni tanto sbatterle, e vedere se qualcosa è cambiato. Se nuovi tipi di alghe si sono avvicendati nella crescita su tutto quel substrato lasciato marcire.

Il palco è bellino. Il palco fa schifo al cazzo. Non che mi aspettassi chissà che cosa, sia chiaro. Il ricordo di concerti passati, il presentimento di concerti futuri. Il ricollocarsi nel tempo passato partendo dal futuro, e viceversa.
L’abbigliamento degli astanti è assolutamente allineato al 1987. Non sono sicuro di avere un abbigliamento adeguato. Probabilmente sì, però. Una cerata è garanzia d’adeguatezza indipendentemente dal momento storico, almeno dagli anni ’40 in poi. Forse addirittura da prima.

Uno dei ragazzi è un po’ polemico: -Stanno suonando And the radio plays già da un quarto d’ora, cambiando progressivamente l’arrangiamento e l’intonazione della voce. Che stiano diventando un gruppo prog?

-Tu sei venuto qua per trasformare le tue articolazioni nella gelatina dell’arrosto, ma per quello ti basterebbe semplicemente essere cotto in umido. Goditi invece l’atmosfera. È un poco come una messa.

Il ragazzo indossa pantaloni alla pescatora. Probabilmente è Gennaio, o una cosa del genere.

-Qua mi pare che tutti col tempo si affloscino.

-Dopo una venuta diciamo che è un fatto non evitabile. Poi per carità, arriverà sempre quello che ti dice che non conosce ritirate dopo l’acme, ma le parabole, parabole sono e parabole rimangono. Certo, se mangi peperoni a pressione è anche possibile smettere di invecchiare. Idem se ti droghi con le giuste droghe. Scusa, non volevo dire davvero questa cosa.

-Senti ma non è che avresti una canna?

-Non ho niente da offrirti, aria fritta a parte.

-Aspetta, mo vedo se rimedio qualcosa.

-No, grazie, ho smesso.

-Come mai?

-Ho fumato talmente tanto che alla fine il mio corpo, probabilmente per taccagneria, ha deciso di cominciare a produrre sostanze per propria sponte. Ho guadagnato una ghiandola speciale. Si attiva nei momenti speciali, pensa che permette addirittura di allestire degli spettacoli teatrali semoventi che mimano viaggi nel tempo.

-Ma che cazzo di roba è?

-Pare che l’abbia inventata lo Stato. È la droga definitiva. Può mimare qualsiasi droga e qualsiasi farmaco, anche se formalmente sarebbe un allucinogeno. Dalle informazioni finora raccolte pare che sia un “residuato bellico” della strategia della tensione. Considerato che adesso siamo nel 1987 potremmo dire che si tratta di un qualcosa di ancora quasi recente.

-Fratello, non ti sto capendo.

-Sei un punkettone, non un punkabestia o un hippie. Non parlare in questo modo fuori luogo.

-Scusa ma parlo come mi pare. Non fare il fascio.

-Il problema di queste allucinazioni è che comunque vivono di vita propria. Quindi pur sforzandomi di dare loro una direzione, non è così facile.

-Ma te non è che sarà che sei uno scappato dal manicomio?

-Siamo nell’87, mica nel ’78. I manicomi sono ormai chiusi da almeno 9 anni. No?

-Ah, se lo dici te. Senti, ma almeno hai carta da filtro.

-No, scusa. Avevo sempre le tasche piene di sta roba, ma alla fine mi sono rotto le scatole.

-Ti conosco da qualche minuto, eppure mi sembra di conoscerti da sempre.

-È quello che dico a tutte le persone che conosco. Qualcuno la reputa una cosa disgustosa, ma secondo me fa molto più schifo citare senza dire di stare citando. L’appropriazione indebita. Magari per rimediare una scopata.

-Non sto capendo? Sei forse uno di quelli un poco invertito.

-Invertito di sicuro, ma non nel senso sessuale.

-E allora in quale?

-In quello delle definizioni. Definisco a pressione, pur di non dovermi definire. Preferirei diffondere, diffondermi. Diffondere però è meglio. Restituisce una maggiore idea di sfumatura. Cancellare i limiti di un corpo. Alla fine è la promessa ultima di Gesù, no? Anche se c’è gente, soprattutto ragazze, che in passato mi hanno contestato dicendo che quel tipo di unificazione tra tutte le anime è più una roba aristotelica. Ma sai, la filosofia alle superiori l’ho fatta un poco alla cazzo di cane. Anche se l’avessi studiata bene però mi ricorderei di poca roba. Inoltre a cosa serve davvero la filosofia?

-Se non sai fare un filtro a S non serve a un cazzo!

-Ben detto. Ora ti saluto però, nell’assoluto. Vado sotto il palco.

Se chiudo gli occhi mi ricordo di una certa pioggia. Una certa gita con una certa ragazza. Era il passato vero, ma comunque è il futuro rispetto al tempo della narrazione, e non solo perché sono temporaneamente bloccato in una piazza del 1987.

Il cantante del gruppo ringrazia il pubblico e si congeda. Dice che non ci sta nessun backstage, e che gli autografi possono tranquillamente essere falsificati da parte dei vari fan. Dice che per lui va benissimo così.

Mi avvicino comunque, dando spallate a destra e manca.

-Giovanni scusa ti devo proprio parlare. Sono venuto qui apposta da una specie di futuro. Cioè, in realtà vengo da vicino piazzale delle Provincie, ma tecnicamente quello sarebbe il futuro. Per via della compressione temporale, ecco, un concetto mutuato da un certo videogioco.

-I videogiochi eh? Ho sentito dire che sono la droga del futuro, sempre se non sei epilettico ovviamente.

-No guarda, non volevo parlare di videogiochi. Volevo parlare della canzone. Cioè, c’è un motivo se ne hai suonata una sola per così tanto tempo?

-Certo.

-Lo condivideresti con me?

-Volentieri. Ma gradiresti della cocaina?

-Cocaina, siamo matti?

-Bene, bravo. Sono contento che tu non abbia abboccato. Se avessi risposto di sì ti avrei chiesto di congedarti.

Che non sia il vero Giovanni è ovvio e viene da se, però c’è comunque qualcosa che non mi torna. Nell’87 non era ancora un cattolico belligerante. Quindi probabilmente mi potrà fornire se non altro alcune delle risposte che cerco.

Ci defiliamo e ci sediamo su una panchina.

-Sei contento del concerto?

Mi chiede.

-A dir poco contento. Era comunque la mia canzone preferita, e lo sarà per sempre. O almeno per i prossimi ventitre anni. Ventitre, ventisette, ventinove. Ho perso il conto.

-Grazie, ma non c’è bisogno di adularmi.

-Non è adulazione. Solo che ho qualche problema a capire dove finisco io e dove cominci tu.

-Guarda che ho coscienza di chi e cosa sono. Ti dirò di più, non sono neppure dispiaciuto di essere un simulacro.

-No, ecco, non volevo arrivarci. Non volevo che arrivassi a questo livello di auto-consapevolezza. Preferirei continuare a vederti come una persona vera.

-Comunque lo sono. Un poco mi hai conosciuto, per vie traverse, quindi sono certo del fatto che come simulacro sono comunque al livello dell’originale, o comunque poco ci manca.

-Se lo dici tu. Alla fine se credo nella tua autorevolezza diventi automaticamente autorevole, no?

-No. Ma facciamo finta di sì comunque. Magari sbaglio io ed hai ragione tu. Avevi qualcosa da chiedermi?

-Sì, un sacco di cose. Ma ora non me ne ricordo nessuna.

-Prova a calmarti, magari ti vengono in mente.

-Niente, ecco me ne è venuta in mente una. Ora sono senza una linea da seguire, come faccio.

-Il motto è semplice: fedele alla linea, anche quando la linea non c’è.

-Ma quella non era una provocazione?

-Una provocazione, sì. Se la vedi come tale. Oppure una dichiarazione sulla necessità di credere fermamente ed acriticamente in un certo ideale, per poterlo realizzare. Ignorando i cadaveri degli avversari, staccandosi di dosso gli spiriti maligni rimasti incastrati sui capelli. Sai chi sono io, ma io non ho capito bene chi sei tu. Dunque, chi sei?

-Niente, un fan.

-Un fan? Un poco banalizzante, no? Non sei niente di più?

-Come no. Sono anche una specie di eletto. Uno che cammina sulla linea della malattia con passo abbastanza incerto, malfermo. Ma di solito me ne frego. Solo che la situazione si è complicata così tanto che io davvero non so che cosa fare. Non so che posizione prendere.

-Rispetto a che cosa?

-Alla modernità dell’uomo, quella che denunci ed inviti a combattere.

-Quando non si ha niente da costruire si può solo distruggere. Devi trovare il tuo posto nel mondo. Lo vuoi un posto nel mondo?

-Non lo so. Questo giochino per quanto ne so mi gasa parecchio. Passare dallo stato di disoccupato a quello di guerrigliero magico comunista non è cosa da poco.

-Devi seguire il tuo cuore.

-Un consiglio banale.

-Un consiglio sempre giusto.

-Non hai altro da dirmi?

-Sei nel pieno.

-Di cosa?

-Dei tuoi anni migliori, la malattia scorre forte in te. Ti insegna in ogni momento, ti fornisce gli strumenti giusti. Non sei più neppure un drogato in senso stretto, non hai più bisogno di assumerla da fuori, è già dentro. È dentro di te ogni volta che ti serve. Come le persone care scomparse che ti accompagnano per tutta la vita come ricordi.

-Non sono d’accordo.

-Non ho vere risposte da darti. Comunque non sono il vero Giovanni. Sono solo un idolo proiettivo. Sai cosa si fa degli idoli proiettivi no?

-No, scusa, ma “A tratti” è una canzone dei CSI, non dei CCCP. È fuori contesto, fuori dal tempo.

-Non fare di me un idolo, mi brucerò.

-No, aspetta. Non mi lasciare. Non mi hai dato nessuna risposta.

-Le risposte sono parole. Tu hai bisogno d’atti.

Finita la sigaretta che stava fumando, comincia a fumare da se. Un uomo divenuto tutt’uno con la propria pira funeraria. Mentre piango rimango seduto accanto ad un mucchietto di cenere. Passa il secondo chitarrista che mi chiede cosa sia successo.

-Niente, ha farneticato della roba e poi è andato in auto-combustione.

-È tipico di quelli come lui bruciare in fretta.

-Ti assicuro che lui, in una linea temporale diversa, in realtà collimante con questa, non era e non è quel tipo di persona.