Eccesso di risposte in difetto di domande.

Il conforto dentro al sonno. Il conforto dentro a un sogno.

Bisogna attraversali con compostezza mentre si dorme. Guardarsi bene in giro. Interagire il giusto, senza emozionarsi troppo, pena il risveglio surrenalico.

Da svegli due compiti difficili:

-Il primo ripercorrerli per fissarli nei ricordi, per poi appuntarseli per evitare di dimenticarli. Dal breve al medio termine, e poi al potenzialmente lungo termine offerto da carta o bits di dati.

-Il secondo compito è capirli, o provarci. Ripensare ai fatti occorsi nei giorni precedenti, ai pensieri fatti, o a situazioni in sospeso. Il contesto, lo sfondo, il rumore di fondo. Con queste chiavi di lettura bisogna provare a costruire uno scheletro di significati da coprire con i significanti onirici, senza pretesa alcuna di azzeccarci.

Una bella villa signorile nel tipo di contesto che tanti signori supponenti liquiderebbero con la definizione di “esterno notte”. Un giardino sufficientemente grande, tranquillamente adibibile a ricevimenti (matrimoni, battesimi).

Dei grossi teloni simili a lenzuola sospesi in orizzontale. Dei lettini da giardino sotto di essi, come sdraio da mare ma con dei cuscini di pelle fusi allo scheletro di alluminio. Una reintepretazione moderna di letti a baldacchino.

La persona che è con me, una signora sulla sessantina, in ampio sovrappeso, mi spiega che si tratta di sognatoi, luoghi dove la gente può venire a sognare, fortemente sostenuta dal tipo di atmosfera.

-La stagione non è quella giusta secondo me per fare questo tipo di attività all’aperto. Non fa freddo freddo, ma neanche caldo.

-Da una parte è vero, ma in realtà…

-In realtà ha ragione anche lei. Le giornate si sono allungate, ci sta un sacco di luce in più. È il momento dell’anno giusto per diventare pazzi, il momento in cui il cervello può accelerare.

-In realtà… sì.

In realtà il cazzo. Il freddo rischia di produrre un carico adrenergico eccessivo. La polemica però va tenuta al guinzaglio.

-Questi che vengono qui a sognare, questi signori, perché lo farebbero?

-Per trovare delle risposte a domande complesse.

-E dove le troverebbero?

-Nei sogni.

-Nel senso che la risposta è già dentro di loro?

-In realtà sì.

-Non potrebbero andare dallo psichiatra?

-In realtà ora come ora, per fortuna, la psichiatria sta passando di moda.

-Sta passando di moda? Ma se si parla solo di quello?

-Sì, però in realtà sta comunque passando.

-Il modo migliore per affossare un tema è affrontarlo con estrema superficialità, saturare il campo di coscienza delle persone facendole sentire padrone dello stesso e poi… lasciare che la noia uccida la moda. Nel frattempo sarà pronta un’altra puttanata.

-In realtà sì.

-Quindi queste persone vengono qui a sognare per trovare delle risposte?

-Sì.

-E poi le trovano?

-In realtà non lo so. Bisognerebbe chiederglielo.

Il posto in cui mi trovo mi è familiare. Ci sono già stato ad un matrimonio anni fa. Quindi familiare sì, ma fino ad un certo punto. Sono passati degli anni, e questa volta, a differenza della scorsa, non ci sta nessun antipasto di pesce, e questa situazione per me è inaccettabile.

-Ma gli antipasti di pesce dove sono?

-No quelli in realtà non ci sono.

-Perché?

-In realtà non sono compresi nel servizio.

-Potrebbe, per grazia del signore, evitare questo intercalare?

-Quale?

-In realtà.

-Eh… mmm… in realtà no.

-Lo accetterò, per quanto sia poco accettabile.

-In realtà bisognerebbe provare il più possibile ad accettare gli altri, anche nei loro difetti.

-Ah, questo è sicuramente vero. Ma in ragione del tipo di sangue che ho, non è sempre possibile. Tollero male le complicazioni, e quando prendo velocità mi scoccia parecchio frenare.

-In realtà potrebbe avere un disturbo dell’attenzione e di conseguenza un eccesso di sveltezza.

-Quando sono fermo sono un sasso morto in un mare immobile. Al momento giusto però ho la reattività di un insetto che non vuole crepare.

-Questo va bene, lo capisco. Però ci starebbe un’altra cosa da fare. Dovrebbe conoscere una persona.

-E chi?

-Una che già conosce.

-Ci starebbe una contraddizione di termini in ciò, no?

-Sostituiamo conoscere con incontrare allora, no?

-In questo caso per me va bene.

Una piscina illuminata. Il tipo di piscina che durante i ricevimenti un minimo formali non ci si aspetta di poter utilizzare, o almeno non quando ci si ritrova al tipo di cerimonia in cui si va insieme ai propri familiari.

-La piscina è utilizzabile?

-In realtà no. E poi non diceva che fa un po’ freddo?

-Ah, sì è vero.

La signora mi chiede:

-Ha già capito perché è qui?

-Capito no, ma penso che sia una questione che riguarda il mio problema principale in questo momento.

-Che sarebbe?

-Non sto di certo a dirlo a lei.

-Mi dispiace.

-Va bene, se le devo dare un dispiacere a questo punto tanto vale dirglielo. Sarò chiaro: il mio problema è l’inaccettabilità del passare del tempo. Proprio non lo sopporto. Non è solo una questione di vecchiaia, sia chiaro. Quella pesa il giusto. Invecchiassi solo io mi passerebbe tutto sommato per il cazzo. Invece invecchiano tutti. E si perdono un sacco di persone. Se ne possono conoscere di nuove, ma non me ne frega quasi nulla. Non coltivo quel tipo di speranza nel prossimo. Le persone che perdiamo, quelle a cui abbiamo voluto bene, quelle in cui abbiamo investito in termini di affetti e significati… il tempo nel suo procedere monodirezionale le inghiotte tutte. Finiscono nei cimiteri quando muoiono, e sono perse per sempre; possono sopravvivere al massimo nei ricordi, ma con limitata reciprocità di rapporto. Poi ci sono quelle che si perdono per naturale deriva, e pure su quello il tempo conta, esercita il suo effetto. Ci si allontana anche solo per motivi geografici, e inerzia e inedia fanno il resto. La separazione prodotta dal tempo produce una perdita di confidenza e di abitudine, tale che il provare poi a riallacciare produce nell’altro una reazione del tipo “ma questo che cazzo vuole”? Si diventa peggio che estranei, poiché del resto nel frattempo, in quello spazio di tempo di reciproco ignoramento si cambia e si diventa persone tutto sommato diverse. Cambia pure il proprio intorno, le proprie relazioni, la cultura contenitrice, gli interessi, insomma tutto.

Del resto Non è possibile tenere tutto insieme, bisogna sempre fare scelte, e le scelte implicano rinunce, e la vita non dura un cazzo. L’alternativa di ripiego sarebbe il riuscire a godersi i momenti, ma siamo sempre presi da qualcosa, da desideri di miglioramento, da desideri di possesso, da desideri di ruolo e di identità. Impegnati a diventare qualcosa, si investe per avere un senso, ma mentre si cerca un senso si perde quel poco che si ha avuto. Un sacco di tempo perso, dietro al materialismo, dietro a infinite forme di intrattenimento ed ipsazione…

-In realtà questa è una visione un po’ pessimistica.

-La sua opinione per me conta il giusto, anche se mi dispiace darle questo ulteriore dispiacere. Andiamo piuttosto dove dobbiamo andare. Abbiamo già perso un sacco di altro tempo.

Una casetta esterna, una sorta di depàndance liminale alla piscina. Ben tenuta. Forse in passato utilizzata per gli ospiti della villa.

D’un tratto mi ricordo del chi si trova ospite in quella casetta. Lo sapevo ma non lo avevo ben contestualizzato. Lo sapevo, ma non mi aspettavo di dovermici trovare in quel momento. La situazione non è ben a fuoco, come del resto è giusto che sia.

Nella casetta ci sta una ragazza che conosco, l’ex fidanzata di un mio vecchio amico.

C’è o ci dovrebbe essere, poiché lei non la trovo ma in compenso ci sta tutta la sua famiglia, molto più larga di quanto mi sarei aspettato.

Più abbienti della mia famiglia d’origine. Borghesi di città borghese. Malgrado ciò presupporrebbe maggior nuclearità familiare, in questa casetta ci sono circa quaranta persone.

-In realtà sembra che ti stessero tutti aspettando.

-Sì, ma… non ricordo il motivo.

-Non è detto che tu lo possa scoprire adesso.

-Gentilmente ora evapora, poi ne riparliamo in un secondo momento.

La signora si svapora.

Nella tasca della giacca ho un foglio di carta che mi hanno lasciato i miei genitori, con segnate sopra le nostre proprietà, sia immobili che appezzamenti di terra. Elencare le proprie proprietà feudali dovrebbe essere un modo per certificare il nostro non essere dei completi morti di fame.

Mi presento a tutti.

Ciascuno ha qualcosa da dirmi, però sono quasi tutte frasi di circostanza.

-Ah, ma quindi sei tu…

-Ci ha parlato tanto di te.

-Come stai?

-Ci ha detto che hai fatto un sacco di cose, cioè, diverse cose diciamo…

-Eravate insieme a Roma, giusto?

-É bello avere degli amici… è bello ritrovarli…

-Ci ha detto che una volta siete stati quasi arrestati, ma anche che non c’entravate niente con quella storia.

-Sicuramente dovete avere delle cose in comune se sei qui…

-Nel frigo ci potrebbe essere dell’aranciata, ma oggi non abbiamo fatto la spesa se non l’essenziale per la cena, quindi è rimasta solo l’aranciata ci dispiace.

Le facce si confondono. Qualcuno è seduto su dei cuscini. Qualcuno è in piedi. Mi danno un sacco di attenzioni che non merito. La mia centralità è frutto solo di quel contesto. Una sua cugina sembra anche interessata, ed ha anche lei ha una faccia familiare, tuttavia ho altro da fare.

Alla fine arriva anche lei, la mia amica, accompagnata dal padre.

Me lo presenta.

Ne segue una discussione in cui esce fuori, pretestuosamente, che conosce il mio attuale capo (in senso lavorativo). Non dò troppo spago alla questione, sento forte la forzatura della narrazione onirica che mi vuole sbattere in un altro posto, lontano centinaia di chilometri. Succede, lo spazio ed il tempo sfumano come un tratto di penna bagnato da comune alcol. Villette a schiera in un paese di mare della Calabria, dove il mio capo, con gli occhi sbarrati e vuoti, dissociato, prova ad ammazzarsi gettandosi in una strada dove però non passa nessuna automobile. Faccio in tempo ad avvicinarmi per salvarlo. Così è facile, non ci vuole niente, basta raggiungerlo a piedi, sono al massimo venti passi. Frasi di circostanza per farlo rinsavire e tornare indietro da una sorta di trance. È sufficiente fare ciò per eliminare la forzatura narrativa sopra citata, e come un elastico che si ritrae, torno nel posto dove mi trovavo (vale a dire la depandancè davanti alla piscina della villa dove persone di un certo sociale vanno per sognare allo scopo di trovare qualche risposta inerentemente ai loro drammi quotidiani).

Il padre della mia amica mi chiede se è tutto ok.

-Sì, per un attimo mi sono mosso avanti… non proprio nel tempo quanto nella narrazione. Credo che il termine corretto sia… catalessi? No, prolessi.

La mia amica fa riferimento al termine anglosassone “flashforward”.

-Sì, sì, esatto. Il contrario del flasbac, l’analessi appunto.

Sempre lei mi chiede direttamente: -Ti ricordi perché dovevi venire qui, giusto?

– No. Sapevo di dover venire, ne ho anche una specie di testimonianza in tasca sotto forma di un documento che avevano preparato i miei genitori per me, ma il motivo non me lo ricordo.

-Non ci vediamo da quasi dieci anni.

-È vero. È questo il motivo? Per rivederci?

-No.

-È troppo tardi?

– No, per fortuna sono ancora viva e direi che sei vivo anche tu.

-Ma quindi, c’è un motivo specifico?

-Sì.

-Non me lo ricordo.

-Se non te lo ricordi è più difficile.

-Non puoi dirmelo tu?

-No.

-Perché?

-Il motivo lo sapevi tu, non io.

-Nel senso che sono stato io a chiederti di vederci?

-Dovevamo vederci, ma il motivo lo sapevi tu.

-Ma quindi, è anche il motivo per cui in generale mi trovo in questa villa?

-Forse… ma è così, una mia idea, magari anche stupida, potresti andare a farti una dormita insieme a quegli altri, sperando di sognare e di trovare in sogno la risposta a questa domanda. Anche se forse non è a questo tipo di domande così insignificanti che bisogna dare una risposta.

-Hai ragione. Una risposta la posso comunque provare a dare, ugualmente, anche se magari sbagliata. Però in un tempo fermo le risposte del presente possono valere anche per il passato.

-Va bene, allora dammela.

-Mi sei mancata. O forse mi manca quel tempo, in cui i problemi stupidi sembravano scogli grandi, ma erano cazzate.

-Vivi in drammi così grossi ora?

-No, non proprio. A parte un certo problema con il tempo, con la nostalgia, con l’ineluttabilità, col concetto di irrecuperabilità, sia totale che semplicemente sostanziale.

-Fammi indovinare… mi stai per dire che ti sei giocato male tutte le tue carte, giusto?

-No, mi limitavo a pensarlo.

-Ci siamo detti tutto?

-Ci siamo detti tutto. Sono stato contento di rivederti, anche se quasi per caso.

-Per caso o quasi. In questo luogo e in questo preciso momento ci sei finito perché volevi finirci. È stata comunque una tua decisione.

-Le idee si sono fatte un po’ più chiare.

Saluto lei. Saluto il padre. Saluto tutti. Torno verso il sognatoio.

La signora di cui prima si ricostituisce condensandosi dall’umidità della campagna.

-In realtà penso fosse importante che tu trovassi almeno una risposta.

-La risposta in effetti già la conoscevo, solo che non la tenevo a portata di mano. Comunque non è stata una illuminazione in senso longitudinale, ma sono nella trasversalità di questa serata così… così… suggestiva in termini di impressioni, e vuota in termini di contenuti.

-Magari però…

-Magari tutti questi personaggi sono stati strumento per fare un monologo, no? Lei inclusa.

-In realtà, sì.

Mi adagio sulla postazione del sognatoio, pronto a vivere questa esperienza.

Tuttavia vengo interrotto molto prima di addormentarmi.

È venuto mio padre a prendermi.

La signora chiede a mio padre perché uno della mia età debba farsi venire a prendere dai genitori.

Mio padre è molto imbarazzato, e biascica qualcosa sul fatto che essendo io molto miope, di sera potrei perdere il controllo della macchina al primo abbagliante affrontato.

Saluto la signora irritato: -È inaccettabile che il valore e la virilità di un uomo vengano messi in discussione in ragione del suo eventuale guidare come un cane.

Mi deride di gusto.

Concludo dicendo:

-Sa che le dico però? In realtà ha ragione lei.

La saluto.

Lasciamo la villa in macchina.

La strada che percorriamo la conosco, anche se non si trova nel posto giusto. Capisco di trovarmici sopra solo per una questione di semplificazione narrativa. Una strada secondaria che unisce il mio paese a quello vicino, e che passa dal cimitero del mio paese. A dire il vero non dovrebbe essere così lunga, e neppure così isolata e dispersa tra le campagne.

Chiedo a mio padre cosa debba farci al cimitero.

Mi risponde in modo a modo suo chiaro. Dovrei capire, la risposta ha senso, per il me stesso di quel preciso istante, ma non saprei replicarla e di fatto non la capisco.

Mi dice anche di non aspettarlo. Mi dice che tornerò con mia madre e con un nostro zio a casa.

Mi intristisco. Penso al peggio. Penso che al cimitero ci debba andare per rimanerci.

Un brutto simbolismo. Poco accettabile. Sento un po’ di acido in bocca.

Queste sono le risposte che vanno trovate nei sogni?

Ammettere di avere paura di perdere le persone a cui vogliamo bene? Tutto qui? Grazie al cazzo.

Nel superamento delle perdite diventiamo davvero adulti.

Bisogna avere abbastanza paura di perdere le persone a cui si vuole bene per riuscire a mettere da parte gli egoismi e dare un valore a quel tempo che ci si passa insieme.

Alla fine torno davvero verso casa con mio padre e questo mio zio, ma torniamo a piedi.

Mi lamento sulla strada del ritorno di quanto queste strade di campagna siano strette e poco illuminate.

Le cose che non tornano sono tante però, a partire dal fatto che malgrado la mia lamentela in realtà pur senza ombra di lampioni la strada sia quasi illuminata a giorno, e continuando col fatto che sono quasi completamente sicuro che il verso della strada sia sbagliato, e che stiamo andando verso un altro paese. Magari hanno parcheggiato là.

Alla fine, come è giusto che sia, mi sveglio poco prima delle tre di notte. Un po’ di angoscia, ma insufficiente all’evitare di riaddormentarmi in qualche minuto.

-Sì, però in realtà sta comunque passando.

-Il modo migliore per affossare un tema è affrontarlo con estrema superficialità, saturare il campo di coscienza delle persone facendole sentire padrone dello stesso e poi… lasciare che la noia uccida la moda. Nel frattempo sarà pronta un’altra puttanata.

-In realtà sì.

-Quindi queste persone vengono qui a sognare per trovare delle risposte?

-Sì.

-E poi le trovano?

-In realtà non lo so. Bisognerebbe chiederglielo.



Il posto in cui mi trovo mi è familiare. Ci sono già stato ad un matrimonio anni fa. Quindi familiare sì, ma fino ad un certo punto. Sono passati degli anni, e questa volta, a differenza della scorsa, non ci sta nessun antipasto di pesce, e questa situazione per me è inaccettabile.



-Ma gli antipasti di pesce dove sono?

-No quelli in realtà non ci sono.

-Perché?

-In realtà non sono compresi nel servizio.

-Potrebbe, per grazia del signore, evitare questo intercalare?

-Quale?

-In realtà.

-Eh… mmm… in realtà no.

-Lo accetterò, per quanto sia poco accettabile.

-In realtà bisognerebbe provare il più possibile ad accettare gli altri, anche nei loro difetti.

-Ah, questo è sicuramente vero. Ma in ragione del tipo di sangue che ho, non è sempre possibile. Tollero male le complicazioni, e quando prendo velocità mi scoccia parecchio frenare.

-In realtà potrebbe avere un disturbo dell’attenzione e di conseguenza un eccesso di sveltezza.

-Quando sono fermo sono un sasso morto in un mare immobile. Al momento giusto però ho la reattività di un insetto che non vuole crepare.

-Questo va bene, lo capisco. Però ci starebbe un’altra cosa da fare. Dovrebbe conoscere una persona.

-E chi?

-Una che già conosce.

-Ci starebbe una contraddizione di termini in ciò, no?

-Sostituiamo conoscere con incontrare allora, no?

-In questo caso per me va bene.



Una piscina illuminata. Il tipo di piscina che durante i ricevimenti un minimo formali non ci si aspetta di poter utilizzare., o almeno non quando ci si ritrova al tipo di cerimonia in cui si va insieme ai propri familiari.



-La piscina è utilizzabile?

-In realtà no. E poi non diceva che fa un po’ freddo?

-Ah, sì è vero.



La signora mi chiede:

-Ha già capito perché è qui?

-Capito no, ma penso che sia una questione che riguarda il mio problema principale in questo momento.

-Che sarebbe?

-Non sto di certo a dirlo a lei.

-Mi dispiace.

-Va bene, se le devo dare un dispiacere a questo punto tanto vale dirglielo. Sarò chiaro: il mio problema è l’inaccettabilità del passare del tempo. Proprio non lo sopporto. Non è solo una questione di vecchiaia, sia chiaro. Quella pesa il giusto. Invecchiassi solo io mi passerebbe tutto sommato per il cazzo. Invece invecchiano tutti. E si perdono un sacco di persone. Se ne possono conoscere di nuove, ma non me ne frega quasi nulla. Non coltivo quel tipo di speranza nel prossimo. Le persone che perdiamo, quelle a cui abbiamo voluto bene, quelle in cui abbiamo investito in termini di affetti e significati… il tempo nel suo procedere monodirezionale le inghiotte tutte. Finiscono nei cimiteri quando muoiono, e sono perse per sempre; possono sopravvivere al massimo nei ricordi, ma con limitata reciprocità di rapporto. Poi ci sono quelle che si perdono per naturale deriva, e pure su quello il tempo conta, esercita il suo effetto. Ci si allontana anche solo per motivi geografici, e inerzia e inedia fanno il resto. La separazione prodotta dal tempo produce una perdita di confidenza e di abitudine, tale che il provare poi a riallacciare produce nell’altro una reazione del tipo “ma questo che cazzo vuole”? Si diventa peggio che estranei, poiché del resto nel frattempo, in quello spazio di tempo di reciproco ignoramento si cambia e si diventa persone tutto sommato diverse. Cambia pure il proprio intorno, le proprie relazioni, la cultura contenitrice, gli interessi, insomma tutto.

Del resto Non è possibile tenere tutto insieme, bisogna sempre fare scelte, e le scelte implicano rinunce, e la vita non dura un cazzo. L’alternativa di ripiego sarebbe il riuscire a godersi i momenti, ma siamo sempre presi da qualcosa, da desideri di miglioramento, da desideri di possesso, da desideri di ruolo e di identità. Impegnati a diventare qualcosa, si investe per avere un senso, ma mentre si cerca un senso si perde quel poco che si ha avuto. Un sacco di tempo perso, dietro al materialismo, dietro a infinite forme di intrattenimento ed ipsazione…

-In realtà questa è una visione un po’ pessimistica.

-La sua opinione per me conta il giusto, anche se mi dispiace darle questo ulteriore dispiacere. Andiamo piuttosto dove dobbiamo andare. Abbiamo già perso un sacco di altro tempo.



Una casetta esterna, una sorta di depàndance liminale alla piscina. Ben tenuta. Forse in passato utilizzata per gli ospiti della villa.

D’un tratto mi ricordo del chi si trova ospite in quella casetta. Lo sapevo ma non lo avevo ben contestualizzato. Lo sapevo, ma non mi aspettavo di dovermici trovare in quel momento. La situazione non è ben a fuoco, come del resto è giusto che sia.

Nella casetta ci sta una ragazza che conosco, l’ex fidanzata di un mio vecchio amico.

C’è o ci dovrebbe essere, poiché lei non la trovo ma in compenso ci sta tutta la sua famiglia, molto più larga di quanto mi sarei aspettato.

Più abbienti della mia famiglia d’origine. Borghesi di città borghese. Malgrado ciò presupporrebbe maggior nuclearità familiare in questa casetta ci sono circa quaranta persone.



-In realtà sembra che ti stessero tutti aspettando.

-Sì, ma… non ricordo il motivo.

-Non è detto che tu lo possa scoprire adesso.

-Gentilmente ora evapora, poi ne riparliamo in un secondo momento.

La signora si svapora.



Nella tasca della giacca ho un foglio di carta che mi hanno lasciato i miei genitori, con segnate sopra le nostre proprietà, sia immobili che appezzamenti di terra. Elencare le proprie proprietà feudali dovrebbe essere un modo per certificare il nostro non essere dei completi morti di fame.



Mi presento a tutti.

Ciascuno ha qualcosa da dirmi, però sono quasi tutte frasi di circostanza.



-Ah, ma quindi sei tu…

-Ci ha parlato tanto di te.

-Come stai?

-Ci ha detto che hai fatto un sacco di cose, cioè, diverse cose diciamo…

-Eravate insieme a Roma, giusto?

-É bello avere degli amici… è bello ritrovarli…

-Ci ha detto che una volta siete stati quasi arrestati, ma anche che non c’entravate niente con quella storia.

-Sicuramente dovete avere delle cose in comune se sei qui…

-Nel frigo ci potrebbe essere dell’aranciata, ma oggi non abbiamo fatto la spesa se non l’essenziale per la cena, quindi è rimasta solo l’aranciata ci dispiace.





Le facce si confondono. Qualcuno è seduto su dei cuscini. Qualcuno è in piedi. Mi danno un sacco di attenzioni che non merito. La mia centralità è frutta solo di quel contesto. Una sua cugina sembra anche interessata, ed ha anche lei ha una faccia familiare, tuttavia ho altro da fare.



Alla fine arriva anche lei, la mia amica, accompagnata dal padre.

Me lo presenta.

Ne segue una discussione in cui esce fuori, pretestuosamente, che conosce il mio attuale capo (in senso lavorativo). Non dò troppo spago alla questione, sento forte la forzatura della narrazione onirica che mi vuole sbattere in un altro posto, lontano centinaia di chilometri. Succede, lo spazio ed il tempo sfumano come un tratto di penna bagnato da comune alcol. Villette a schiera in un paese di mare della Calabria, dove il mio capo, con gli occhi sbarrati e vuoti, dissociato, prova ad ammazzarsi gettandosi in una strada dove però non passa nessuna automobile. Faccio in tempo ad avvicinarmi per salvarlo. Così è facile, non ci vuole niente, basta raggiungerlo a piedi, sono al massimo venti passi. Frasi di circostanza per farlo rinsavire e tornare indietro da una sorta di trance. È sufficiente fare ciò per eliminare la forzatura narrativa sopra citata, e come un elastico che si ritrae, torno nel posto dove mi trovavo (vale a dire la depandancè davanti alla piscina della villa dove persone di un certo sociale vanno per sognare allo scopo di trovare qualche risposta inerentemente ai loro drammi quotidiani).



Il padre della mia amica mi chiede se è tutto ok.

-Sì, per un attimo mi sono mosso avanti… non proprio nel tempo quanto nella narrazione. Credo che il termine corretto sia… catalessi? No, prolessi.

La mia amica fa riferimento al termine anglosassone “flashforward”.

-Sì, sì, esatto. Il contrario del flasbac, l’analessi appunto.



Sempre lei mi chiede direttamente: -Ti ricordi perché dovevi venire qui, giusto?

– No. Sapevo di dover venire, ne ho anche una specie di testimonianza in tasca sotto forma di un documento che avevano preparato i miei genitori per me, ma il motivo non me lo ricordo.

-Non ci vediamo da quasi dieci anni.

-E’ vero. È questo il motivo? Per rivederci?

-No.

-È troppo tardi?

– No, per fortuna sono ancora viva e direi che sei vivo anche tu.

-Ma quindi, c’è un motivo specifico?

-Sì.

-Non me lo ricordo.

-Se non te lo ricordi è più difficile.

-Non puoi dirmelo tu?

-No.

-Perché?

-Il motivo lo sapevi tu, non io.

-Nel senso che sono stato io a chiederti di vederci?

-Dovevamo vederci, ma il motivo lo sapevi tu.

-Ma quindi, è anche il motivo per cui in generale mi trovo in questa villa?

-Forse… ma è così, una mia idea, magari anche stupida, potresti andare a farti una dormita insieme a quegli altri, sperando di sognare e di trovare in sogno la risposta a questa domanda. Anche se forse non è a questo tipo di domande così insignificanti che bisogna dare una risposta.

-Hai ragione. Una risposta la posso comunque provare a dare, ugualmente, anche se magari sbagliata. Però in un tempo fermo le risposte del presente possono valere anche per il passato.

-Va bene, allora dammela.

-Mi sei mancata. O forse mi manca quel tempo, in cui i problemi stupidi sembravano scogli grandi, ma erano cazzate.

-Vivi in drammi così grossi ora?

-No, non proprio. A parte un certo problema con il tempo, con la nostalgia, con l’ineluttabilità, col concetto di irrecuperabilità, sia totale che semplicemente sostanziale.

-Fammi indovinare… mi stai per dire che ti sei giocato male tutte le tue carte, giusto?

-No, mi limitavo a pensarlo.

-Ci siamo detti tutto?

-Ci siamo detti tutto. Sono stato contento di rivederti, anche se quasi per caso.

-Per caso o quasi. In questo questo luogo e in questo preciso momento ci sei finito perché volevi finirci. È stata comunque una tua decisione.

-Le idee si sono fatte un po’ più chiare.



Saluto lei. Saluto il padre. Saluto tutti. Torno verso il sognatoio.

La signora di cui prima si ricostituisce condensandosi dall’umidità della campagna.

-In realtà penso fosse importante che tu trovassi almeno una risposta.

-La risposta in effetti già la conoscevo, solo che non la tenevo a portata di mano. Comunque non è stata una illuminazione in senso longitudinale, ma sono nella trasversalità di questa serata così… così… suggestiva in termini di impressioni, e vuota in termini di contenuti.

-Magari però…

-Magari tutti questi personaggi sono stati strumento per fare un monologo, no? Lei inclusa.

-In realtà, sì.



Mi adagio sulla postazione del sognatoio, pronto a vivere questa esperienza.

Tuttavia vengo interrotto molto prima di addormentarmi.

E’ venuto mio padre a prendermi.



La signora chiede a mio padre perché uno della mia età debba farsi venire a prendere dai genitori.

Mio padre è molto imbarazzato, e biascica qualcosa sul fatto che essendo io molto miope, di sera potrei perdere il controllo della macchina al primo abbagliante affrontato.



Saluto la signora irritato: -È inaccettabile che il valore e la virilità di un uomo vengano messi in discussione in ragione del suo eventuale guidare come un cane.



Mi deride di gusto.

Concludo dicendo:

-Sa che le dico però? In realtà ha ragione lei.



La saluto.

Lasciamo la villa in macchina.



La strada che percorriamo la conosco, anche se non si trova nel posto giusto. Capisco di trovarmici sopra solo per una questione di semplificazione narrativa. Una strada secondaria che unisce il mio paese a quello vicino, e che passa dal cimitero del mio paese. A dire il vero non dovrebbe essere così lunga, e neppure così isolata e dispersa tra le campagne.



Chiedo a mio padre cosa debba farci al cimitero.

Mi risponde in modo a modo suo chiaro. Dovrei capire, la risposta ha senso, per il me stesso di quel preciso istante, ma non saprei replicarla e di fatto non la capisco.

Mi dice anche di non aspettarlo. Mi dice che tornerò con mia madre e con un nostro zio a casa.



Mi intristisco. Penso al peggio. Penso che al cimitero ci debba andare per rimanerci.

Un brutto simbolismo. Poco accettabile. Sento un po’ di acido in bocca.

Queste sono le risposte che vanno trovate nei sogni?
Ammettere di avere paura di perdere le persone a cui vogliamo bene? Tutto qui? Grazie al cazzo.



Nel superamento delle perdite diventiamo davvero adulti.

Bisogna avere abbastanza paura di perdere le persone a cui si vuole bene per riuscire a mettere da parte gli egoismi e dare un valore a quel tempo che ci si passa insieme.



Alla fine torno davvero verso casa con mio padre e questo mio zio, ma torniamo a piedi.

Mi lamento sulla strada del ritorno di quanto queste strade di campagna siano strette e poco illuminate.

Le cose che non tornano sono tante però, a partire dal fatto che malgrado la mia lamentela in realtà pur senza ombra di lampioni la strada sia quasi illuminata a giorno, e continuando col fatto che sono quasi completamente sicuro che il verso della strada sia sbagliato, e che stiamo andando verso un altro paese. Magari hanno parcheggiato là.



Alla fine, come è giusto che sia, mi sveglio poco prima delle tre di notte. Un po’ di angoscia, ma insufficiente all’evitare di riaddormentarmi in qualche minuto.